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12 dicembre 2012 - Parere Penale
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Da: annix | 12/12/2012 11:43:03 |
x basita ... il mio piacere e che il tuo ragazzo che sta tanto sgobbando nn superi l esame .... cosi magari l anno prossimo ti unisci a noi !!!!!! | |
Da: Fano | 12/12/2012 11:43:23 |
- Messaggio eliminato - | |
Da: sibilo | 12/12/2012 11:43:44 |
LA SENZTENZA 45849-2012 PER IL NOTAIO HA AD OGGETTO LA CONFISCA E L'EVASIONE...MALEDETTA IGNORANZA | |
Da: inter2 | 12/12/2012 11:43:56 |
anche Salerno 17,30 | |
Da: bis | 12/12/2012 11:44:09 |
ritengo che effettuare la confisca per equivalente non era possibile perché la somma di cui si appropria il notaio è solo il profitto del reato e non il prezzo, invece la confisca per equivalente è possibile solo per un valore corrispondente al prezzo e non al profitto del reato ssuu 38691/10 siete d'accordo? o meglio volevo dire non era possibile effettuare il sequestro siete d'accordo con questa conclusione? | |
Da: rino 21088 | 12/12/2012 11:44:16 |
a che ora consegnano a Roma? | |
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Da: Pi | 12/12/2012 11:44:34 |
Per BIS La tua osservazione è giusta però bisogna capire la differenza tra prezzo e profitto. A tal proposito la sent. 12852/06 dovrebbe aiutarci | |
Da: basita!!! | 12/12/2012 11:44:38 |
annix sei un/a poverino/a... | |
Da: seria | 12/12/2012 11:44:52 |
Ragazzi seri che, insieme a me, state cercando di aiutare qualche vostro caro lì dentro, proporrei di ignorare completamente i post di basita e compagnia bella. Credo sia la cosa migliore se vogliamo evitare dispersioni di energie e di tempo prezioso. Grazie. | |
Da: SantAmbrogio | 12/12/2012 11:44:52 |
a milano consegnano alle 17 | |
Da: aoxomoxoa | 12/12/2012 11:45:19 |
SVOLGIMENTO TRACCIA NOTAIO (CAMBIATELA O E' TUTTO INUTILE) Col parere oggetto di svolgimento mi si chiede di illustrare la fattispecie penale individuabile dalla condotta del Notaio Tizio con particolare riferimento alle possibilità di confisca per equivalente dei beni previamente sottoposti a sequestro. Al fine di rendere il parere richiesto appare quindi necessario muovere dall'istituto della confisca così come previsto dall'art. 322-ter c.p. per i fini che a noi interessano. La previsione di cui all'art. 322 ter introduce la confiscabilità per equivalente nel caso in cui i beni costituenti il "profitto" o il "prezzo" del reato non siano aggredibili per qualsiasi ragione. La norma prevede che la confisca possa riguardare beni dei quali il reo abbia in ogni caso "la disponibilità " per un valore corrispondente a quello che avrebbe dovuto altrimenti costituire oggetto della confisca. Nell'ambito delle misure di sicurezza assume un ruolo peculiare la figura della confisca, la cui disciplina generale è contenuta nell'art. 240 c.p. Attraverso detta misura ablatoria vengono acquisiti dallo Stato beni che per la loro intrinseca natura, ovvero per un collegamento funzionale con un illecito penale, devono considerarsi criminosi. Per quanto attiene ai presupposti applicativi della confisca occorre precisare che questa, a differenza della altre misure di sicurezza, prescinde dall'accertamento della pericolosità sociale del reo, essendo sufficiente la commissione di un reato o di un quasi reato. In linea generale, essa è di applicazione facoltativa (art. 240, comma 1, c.p.) ovvero obbligatoria (art. 240, comma 2, c.p.). Attraverso la l. 29 settembre 2000, n. 300, che ha inciso sul titolo dedicato ai delitti contro la Pubblica Amministrazione, la confisca obbligatoria è stata estesa, grazie alle previsioni contenute nell'art. 322 ter c.p.. ad alcune fattispecie ivi previste e, inoltre, è stato inserito l'istituto della confisca per equivalente, già contemplato dal nostro ordinamento in materia di usura (l. 7 marzo 1996, n. 108). Il tratto che connota tale figura giuridica consiste nella possibilità , per l'autorità giudiziaria, di procedere, qualora manchino i beni che si identificano con il profitto e il prezzo del reato, all'ablazione di beni diversi per un valore equivalente al prezzo del reato (art. 322 ter, comma 1) ovvero al profitto del medesimo (art. 322 ter, comma 2, c.p.). Fin dall'introduzione dell'istituto della confisca si è aperto un dibattito relativo alla natura giuridica di tale sanzione penale. Precisamente, ci si è chiesti se, conformemente all'intitolato legale, debba considerarsi una misura di sicurezza ovvero assuma i tratti di una vera e propria pena. La distinzione è di non poco momento, atteso che, ai sensi dell'art. 200 c.p., si applica alle misure di sicurezza un divieto di retroattività temperato, in forza del quale può trovare applicazione la legge in vigore al tempo dell'esecuzione della misura di sicurezza, ancorché sia diversa da quella prevista al tempo del reato commesso, mentre per le pene vale il principio di irretroattività sancito nell'art. 2, comma 1, c.p., il quale ammette deroghe soltanto a favore del reo. Secondo la tesi tradizionale, la ratio di tale opzione normativa riposa sulla diverse funzioni perseguite dalla pena e della misura di sicurezza. Nel primo caso prevalgono esigenze di prevenzione generale, nel secondo caso, invece, è valorizzato il contenuto terapeutico della misura sanzionatoria, sicché trova giustificazione l'applicazione di uno strumento più moderno, sebbene diverso da quello previsto al tempo della perfezione dell'illecito. Resta inteso che, per non svuotare di contenuto le garanzie del reo, è necessario che la previsione di una misura di sicurezza applicabile per il fatto realizzato già sussista al momento della commissione di questo. Proprio in materia di confisca per equivalente, le indicazioni provenienti dalla l. 29 settembre 2000, n. 300 orientano a ritenere che la confisca abbia una natura giuridica assimilabile a quella della pena. L'art. 15 (Norma transitoria), preclude infatti l'applicazione retroattiva della confisca per equivalente. Detto rilievo, già condiviso dalla giurisprudenza delle Sezioni unite in materia di responsabilità degli enti dipendente da reato (Cass. pen., S.U., 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654), è stato recentemente confermato dalla Corte costituzionale (Corte cost., 2 aprile 2009, n. 97) la quale, recependo l'approccio sostanzialistico in materia penale, tipico della giurisprudenza della Corte della Europea dei Diritti dell'Uomo, ha riconosciuto nella confisca per equivalente i tratti dell'afflittività , tipici della pena. Poste queste premesse, la Consulta ha statuito che un'applicazione retroattiva dell'istituto di cui all'art. 322 ter c.p. violerebbe l'art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, a tenore del quale nessuno può essere punito con un pena più grave di quella prevista al momento in cui è stato commesso il fatto e, conseguentemente, contrasterebbe con l'art. 117, comma 1, Cost. che impone al legislatore italiano di esercitare la potestà legislativa rispettando i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. La prima problematica che viene in rilievo nel caso di specie attiene alla possibilità di ritenere integrati gli estremi del delitto di peculato dalla condotta di Tizio, il quale riveste la qualità di soggetto pubblico. Nella giurisprudenza della Suprema Corte si osserva un indirizzo interpretativo pacifico secondo il quale il momento consumativo del delitto di peculato deve individuarsi nel comportamento appropriativo dell'agente avente a oggetto il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia il possesso per ragioni d'ufficio o di servizio. Ed in effetti, a mente della Cassazione penale, sez. V, sentenza n° 47178/2009, il notaio che ometta il versamento di somme, affidategli da clienti, destinate al pagamento dell'imposta di registro in relazione ad atti rogati incorre nel delitto di peculato. La condotta appropriativa del notaio deve essere qualificata come peculato. Infatti, la qualifica di pubblico ufficiale spetta al notaio non solo nell'esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività , disciplinata da norme di diritto pubblico e diretta alla formazione di atti pubblici. Occorre ora chiedersi se effettivamente la misura cautelare, funzionale a quella ablativa, potesse o meno avere a oggetto i beni nella disponibilità di Tizio. La questione si colloca nel contesto relativo alla definizione dello spettro operativo della confisca per equivalente disciplinata nell'art. 322 ter c.p. L'art. 322 ter, introdotto nel codice penale dalla l. 29 settembre 2000, n. 300, in occasione delle ratifiche da parte del nostro Paese di specifiche convenzioni internazionali volte a contrastare i fenomeni corruttivi, dispone al comma 1, che in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei delitti contro la Pubblica Amministrazione previsti negli articoli da 314 a 322 c.p. è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono "il profitto o il prezzo" salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando questa non sia possibile, la confisca dei beni di cui il reo ha la disponibilità , per un valore corrispondente a tale "prezzo" (c.d. confisca per equivalente). Nei termini chiariti dall'autorevole insegnamento delle Sezioni unite della Suprema Corte, la ratio dell'istituto della confisca per equivalente risiede nella scelta di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredire l'oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale misura che assume a tutti gli effetti i tratti distintivi di una vera e propria sanzione (Cass. pen., S.U., 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654). Stando alla formulazione letterale della disposizione (art. 322 ter, comma 1, c.p.), come rilevato dalla costante e più recente giurisprudenza di legittimità , la confisca per equivalente non è applicabile in relazione al profitto del delitto di peculato (art. 314 c.p.), dovendo ritenersi limitata al solo tantundem del prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 5 novembre 2008 - 7 aprile 2009, n. 14966; Cass. pen., Sez. VI, 10 marzo 2009, n. 10679). Depongono a favore di questa soluzione argomenti di diversa natura. In prospettiva sistematica, si esclude che il legislatore abbia utilizzato nell'art. 322 ter c.p. il termine prezzo in senso atecnico, così da comprendere qualsiasi utilità connessa al reato, derogando alla disciplina generale stabilità nell'art. 240 c.p., ove le nozioni di prezzo e profitto sono nettamente distinte. Da un punto di vista esegetico, poi, sembra chiara la volontà del legislatore di escludere, salvo le ipotesi del comma 2 dell'art. 322 ter c.p., il profitto del reato dalla confisca per equivalente. In senso contrario si registra un isolato orientamento che aderisce a una interpretazione estensiva secondo la quale, riguardo al delitto di peculato, sono assoggettabili a confisca, ai sensi dell'art. 322 ter c.p., comma 1, beni nella disponibilità dell'imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 29 marzo 2006 - 17 luglio 2006, n. 24633). Di recente, a dirimere l'illustrato contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni unite della Suprema Corte. La Corte ha precisato che, in difetto di una nozione legale di profitto del reato, può accogliersi la ricostruzione semantica di tale concetto offerta dalla dominante giurisprudenza di legittimità secondo la quale esso deve essere identificato con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e si contrappone al prodotto e al prezzo del reato. In particolare, il prodotto rappresenta ciò che materialmente deriva dall'illecito, vale a dire le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato, il prezzo, invece, deve individuarsi nel compenso dato o promesso a una determinata persona, a titolo di corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito (ex plurimis, Cass. pen., S.U., 3 luglio 1996 - 17 ottobre 1996, n. 9149). Le Sezioni unite, pertanto, alla luce della netta distinzione fra le nozioni di prezzo e profitto del reato, unitamente alla mancanza di una chiara indicazione legislativa che attribuisca a tali termini un significato diverso da quello comunemente assegnato dalla giurisprudenza di legittimità , ritengono che non sussista alcun elemento idoneo a far ritenere che il legislatore, nella formulazione dell'art. 322 ter, comma 1°, c.p., abbia usato il termine prezzo in senso atecnico, così da includere qualsiasi utilità connessa al reato sicché, con riferimento al delitto di peculato può disporsi la confisca per equivalente prevista dall'art. 322 ter, comma 1, ultima parte c.p., soltanto del prezzo e non anche del profitto (Cass. pen., S.U., 25 giugno 2009 - 6 ottobre 2010, n. 38691). Nel caso di specie, accedendo all'ultimo indirizzo delle Sezioni unite, Tizio potrà ottenere, previa istanza di riesame del sequestro preventivo, la restituzione dei propri beni. | |
Da: PRESTO! | 12/12/2012 11:45:27 |
QUALCOSA SULLA 2 TRACCIA PEDOPORNOGRAFIA PER FAVOREEEEEEE | |
Da: bis | 12/12/2012 11:45:32 |
ritengo che effettuare la confisca per equivalente non era possibile perché la somma di cui si appropria il notaio è solo il profitto del reato e non il prezzo, invece la confisca per equivalente è possibile solo per un valore corrispondente al prezzo e non al profitto del reato ssuu 38691/09 siete d'accordo? o meglio volevo dire non era possibile effettuare il sequestro siete d'accordo con questa conclusione? le ssuu sono del 2009 | |
Da: godo | 12/12/2012 11:45:39 |
basita vai a scopare meglio che il tuo ragazzo si fa le seghe per quanto sei acida | |
Da: sss | 12/12/2012 11:45:41 |
LA TRACCIA 1 E' NOTAIO. LA TRACCIA 2 E? PEDOPORNOGRAFIA! sicuro al 100% | |
Da: XXY | 12/12/2012 11:45:54 |
potete indicare qlch altro forum dove cercare | |
Da: SEDLEX | 12/12/2012 11:46:30 |
Credo che sul peculato ci siano due aspetti da considerare: 1) se c'è peculato del Notaio (facile, la sentenza è quella del 2009 che avete già trovato) e 2) se è possibile la confisca per equivalente. Da questo secondo punto di vista, posto una massima interessante "Secondo il dato testuale degli artt. 321, comma 2 bis, c.p.p. e 322 ter, comma 1, c.p., il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto soltanto per il prezzo e non anche per il profitto del reato. LO afferma la Corte di Cassazione uniformandosi all'orientamento formulato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 38691 del 06/10/2009. Nella fattispecie, osserva la Corte, è indubbio che le somme di cui l'indagata, nella qualità di incaricata di pubblico servizio, si appropriò rappresentano il "profitto" del reato di peculato. È consentita la confisca diretta di tali somme (cd. confisca di proprietà ), ma non la confisca per equivalente di beni per un valore corrispondente a detto profitto (cd. confisca di valore). La confisca per equivalente e, quindi, la cautela reale ad essa funzionale sono consentite solo con riferimento al "prezzo" del reato." Cassazione Penale, Sezione Sesta, Sentenza n. 22505 del 07/06/2011 Ad ogni modo tale massima riprende la Sezioni Unite del 2009 che già avete trovato (n.38691). E' molto semplice come parere. | |
Da: Don''t feed the troll | 12/12/2012 11:46:53 |
Non date da mangiare ai troll. Ossia non alimentate discussioni sterili con chi intasa volutamente i forum. | |
Da: basita!!! | 12/12/2012 11:47:24 |
viva l'Italia del futuro!!! | |
Da: LUX | 12/12/2012 11:47:40 |
AIUTO SULLA TRACCIA RELATIVA ALLA PEDOPORNOGRAFIA PER FAVORE... | |
Da: da salerno | 12/12/2012 11:48:18 |
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LUPO Ernesto - Presidente - Dott. PETTI Ciro - Consigliere - Dott. LOMBARDI Angelo Maria - Consigliere - Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da: difensore di D.P.M., nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte d'appello di Lecce del 21 novembre del 2007; udita la relazione del Consigliere Dott. Ciro Petti; sentito il Sostituto Procuratore Generale Dott. Giovanni D'Angelo, il quale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso; letti il ricorso e la sentenza denunciata. Osserva quanto segue: Fatto La corte d'appello di Lecce, con sentenza del 21 novembre del 2007, confermava quella resa dal tribunale della medesima città il 26/1/2007, con cui D.P.M. era stato dichiarato colpevole dei reati di cui all'art. 81 c.p., art. 600 ter c.p., comma 4 e art. 600 quater c.p., così scissa e riqualificata l'originaria imputazione di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 600 ter c.p., comma 3 e, concesse le attenuanti generiche, era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione ed Euro 7.500,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; confisca e distruzione di quanto in sequestro. Secondo la ricostruzione fattuale contenuta nella sentenza impugnata l'ispettore C.A., su autorizzazione dell'autorità giudiziaria, aveva iniziato un'attività sotto copertura con l'utilizzo del nick-name "(OMISSIS)". In tale veste il (OMISSIS) aveva intercettato uno scambio di materiale pedopornografico tra "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)", accertando che "(OMISSIS)" era riferibile all'utenza telefonica (OMISSIS) intestata a T.R., compagna dell'attuale ricorrente, ed attiva nell'ambito della sede del patronato ACLI di (OMISSIS) con abbonamento alla società (OMISSIS) sottoscritto da D.P. M. mentre "(OMISSIS)" corrispondeva all'utenza telefonica intestata a P.A.. L'ispettore, scambiando per quindici giorni materiale pedopornografico con gli utenti del canale, aveva individuato numerosi indirizzi di IP tra cui quello in uso al D. P.. Il predetto si era difeso sostenendo di non avere avuto la consapevolezza di detenere nel proprio computer materiale pedopornografico, anzi appena si era accorto della presenza di tale materiale aveva segnalato la circostanza ai carabinieri. Tanto premesso in fatto, la corte a fondamento del proprio assunto osservava che il computer dove erano state rinvenute le immagini pedopornografiche era usato solo dall'imputato,che l'utente " (OMISSIS)" per scambiare materiale pedopornografico con "(OMISSIS)" si era avvalso di quel computer; che per mezzo della consulenza disposta dal pubblico ministero si era accertato che con esso erano stati inviati diversi messaggi di posta elettronica con allegati i files contenenti immagini pedopornografiche; che le immagini pedopornografiche erano state archiviate in una cartella salvata sul disco rigido e denominata "Da Masterizzare/Vietate"; che ulteriori riscontri si desumevano dall'esito positivo della perquisizione presso il patronato "Acli" nel corso della quale sull'hard disk del computer del prevenuto erano stati rinvenuti numerosi files contenenti immagini pedopornografiche nonchè dalla perquisizione nell'abitazione patema dove era stato trovato materiale pornografico. Osservava infine che la denuncia sporta ai carabinieri, con cui peraltro il prevenuto si era limitato a segnalare l'invio di materiale pubblicitario, rappresentava un tentativo di salvataggio posto in essere quando le indagini erano state già da tempo avviate ed era stato individuata la persona che usava il nick name " (OMISSIS)", certamente in contatto con il D.P.. Ricorre per cassazione il prevenuto per mezzo del proprio difensore deducendo: la nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione: il ricorrente dopo avere premesso che dalle indagini non era emersa la sussistenza di una condotta divulgativa, ma la mera cessione a terzi in una singola occasione di materiale pedopornografico, assume che la corte non aveva preso in considerazione il dato certo costituito dalla denuncia da lui sporta ai carabinieri in epoca non sospetta nonchè la circostanza che il computer si trovava in un luogo aperto al pubblico per cui chiunque avrebbe potuto usarlo; precisa altresì che il rinvenimento del materiale pornografico lecito nell'abitazione paterna non poteva costituire riscontro alla consapevole detenzione di foto pedopornografiche; la violazione delle norme incriminatici nonchè mancanza di motivazione sul punto, per avere i giudici del merito ritenuto, senza adeguata motivazione, configurabile il concorso tra il delitto di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4 e quello di cui all'art. 600 quater c.p.. Diritto Il primo motivo è inammissibile perchè sotto l'apparente deduzione del vizio d'illogicità e contraddittorietà della motivazione in realtà si censura l'apprezzamento delle prove da parte dei giudici del merito, la cui motivazione non presenta alcuna illogicità o contraddizione. Anzitutto non è vero che i giudici del merito non abbiano valutato la segnalazione da lui fatta ai carabinieri, ma al contrario l'hanno ritenuta ininfluente perchè costituiva una manovra difensiva posta in essere dall'indagato quando aveva avuto il sospetto di essere stato individuato. Non è altresì vero che ai fini dell'affermazione della responsabilità si sia attribuita decisiva rilevanza al rinvenimento di materiale pornografico, non vietato, nell'abitazione patema. La responsabilità è stata affermata sulla base di altri elementi di inequivoco valore indiziante ed in particolare sulle seguenti circostanze: a) il computer utilizzato per la cessione era di sua proprietà ; b) il contratto per il collegamento attivato attraverso il provider "(OMISSIS)" utilizzato per la navigazione in internet e per lo scambio di immagini era a lui intestato, c) l'indirizzo di posta elettronica utilizzato era a lui intestato; d) sul disco rigido del suo computer erano state rinvenute alcune cartelle dove erano state archiviate le immagini pedopornografiche; e) al momento della perquisizione il ricorrente aveva dimostrato di essere a conoscenza della detenzione del materiale pedopornografico, tanto è vero che aveva offerto agli inquirenti un CD contenente immagini vietate. Il secondo motivo è invece fondato. Il pubblico ministero aveva contestato al prevenuto il reato di cui all'art. 81 c.p., art. 600 ter c.p., comma 3 perchè, in concorso con T.R., poi prosciolta, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi, per via telematica aveva distribuito e divulgato materiale pornografico realizzato mediante lo sfruttamento di minori nonchè per avere divulgato notizie e informazioni finalizzate all'adescamento o sfruttamento sessuale dei minori di anni 18. Il tribunale ha escluso la divulgazione e scindendo l'originaria imputazione ha ritenuto configurabile il reato di cessione di cui al cit. art. comma 4 in concorso con la detenzione di cui all'art. 600 quater c.p. relativamente ai files archiviati sul disco rigido ed a quelli rinvenuti sul CD. Non risulta se i files salvati ed archiviati siano gli stessi in precedenza ceduti perchè la circostanza non è stata chiarita dal tribunale e peraltro non ha decisiva importanza ai fini della questione ora in esame ossia ai fini della configurabilità del concorso tra i due reati perchè si è comunque accertato che il prevenuto non si limitava a detenere le immagini pedopornografiche che si era procurato ma era anche solito cederle. Orbene, la presenza di una clausola di riserva espressa risolve il problema del concorso tra i due reati anzidetti in favore della tendenziale configurabilità del solo reato di cui all'art. 600 ter c.p.: nel caso in esame a favore dell'ipotesi di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4. Ciò vale ovviamente per i casi in cui si possa riscontrare un identità di fatto tipizzato tale da determinare un conflitto apparente di norme risolvibile appunto in base alla clausola di riserva. Se i fatti sono diversi operano invece le regole del concorso, salvo le ipotesi di assorbimento. Per semplificare, la condotta di cui all'art. 600 quater c.p. (detenzione di materiale pedopornografico) può concorrere con quella di divulgazione di notizie finalizzate allo sfruttamento dei minori di cui all'art. 600 ter c.p., comma 3, trattandosi di condotte completamente diverse anche se offendono lo stesso bene giuridico e, appunto perchè non sovrapponigli non possono dare luogo ad un conflitto apparente di norme, ma ad un concorso di reati. Nella fattispecie però la condotta della divulgazione di notizie o informazioni finalizzate allo sfruttamento dei minori, originariamente contestata, è stata esclusa dal tribunale il quale ha ravvisato l'ipotesi della cessione di materiale pedopornografico di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4. Orbene, per cedere il materiale (che è cosa diversa dall'informazione), bisogna prima detenerlo. In tale situazione la detenzione di materiale pedopornografico assume i connotati di un antefatto non punibile e per tale ragione rimase assorbito nel delitto di cessione. In definitiva, la condotta di cui all'art. 600 quater c.p., rimarrà assorbita in quelle di cui all'art. 600 ter allorchè sussista una progressione criminosa o un assorbimento e la condotta della detenzione sia prodromica a quelle di cui all'art. 600 ter c.p.. Nella fattispecie tra la condotta di cui all'art. 600 quater c.p. e quella di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4 esiste assorbimento e non concorso di reati o concorso apparente di norme, perchè il reo per cedere il materiale ha dovuto prima procuraselo. Pertanto il prevenuto deve essere assolto da tale reato perchè il fatto non sussiste, in quanto autonomamente non configuratole perchè assorbito nella cessione. La relativa pena deve essere quindi eliminata. A tale operazione deve provvedere il giudice del merito perchè il tribunale ha ritenuto più grave proprio il reato di cui all'art. 600 quater c.p.. P.Q.M LA CORTE Letto l'art. 623 c.p.p. annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna per il reato di cui all'art. 600 quater c.p. perchè il fatto non sussiste. Rinvia per la determinazione della pena ad altra sezione della corte d'appello di Lecce. Rigetta il ricorso nel resto. Così deciso in Roma, il 10 luglio del 2008. Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2008 | |
Da: jke | 12/12/2012 11:49:06 |
forza ragazzi io accennerei al peculato per poi passare alla confisca che ne dite' | |
Da: annix | 12/12/2012 11:49:15 |
fottiti basitaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa | |
Da: LORENZOXXXX | 12/12/2012 11:49:17 |
UN GIORNO IL MIO CAZZO USCì DAL GREGGE E ANDò IN CULO A KI LO LEGGE!!!! | |
Da: bacodaseta | 12/12/2012 11:49:18 |
consegna napoli 18.05 sapete qualcosa su Roma? | |
Da: carlo1979 | 12/12/2012 11:50:15 |
ragà sentenze..pareri e soluzioni x la PEDOPORNOGRAFIA? | |
Da: maifredi | 12/12/2012 11:50:47 |
Per quanto riguarda il Notaio sto guardando il codice della Dike sentenza n. 38691 del 6.10.09 sez. un.. Pag. 419 l'art 322 ter mi sembra ben massimato | |
Da: incavolato nero | 12/12/2012 11:51:00 |
Corte di Cassazione, Sez. III penale Sentenza 6 aprile 2011- 3 ottobre 2011, n. 35696 LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Dott. Giuliana Ferrua - Presidente - Dott. Claudia Squassoni - Consigliere - Dott. Alfredo Maria Lombardi - Consigliere - Dott. Amedeo Franco - Consigliere - Dott. Elisabetta Rosi - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: XXXXX avverso la sentenza n. 48/2009 della Corte d'Appello di Firenze Visti gli atti, la sentenza e il ricorso Udita in PUBBLICA UDIENZA del 6/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Elisabetta Rosi Udito il Procuratore Generale (…..) che ha concluso per il rigetto del ricorso, previa emenda del dispositivo con esclusione della pena accessoria Udito il difensore (…..) che ha chiesto l'accoglimento del ricorso RITENUTO IN FATTO La Corte d'Appello di Firenze, con sentenza del 22 febbraio 2010, ha confermato la sentenza emessa all'esito di rito abbreviato dal G.I.P. presso il Tribunale di Firenze il 26 febbraio 2008, che aveva condannato XXXXX alla pena di un anno di reclusione e 1800 euro di multa, per i reati di cui all'art. 600 ter, c. 4 (così derubricato il capo a), 600 quater c.p. ed unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, commessi in Sesto Fiorentino sino al 26 ottobre 2005. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, tramite il proprio difensore, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi: 1. Inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 600 ter comma 4 c.p. e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte cui è stata ritenuta corretta la riqualificazione dei fatti contestati al capo a) dell'imputazione, ed è stata ritenuta raggiunta la prova della consumazione del reato di cui all'art. 600 ter comma 4 c.p., ritenendo che la conversazione per via telematica (c.d. "in chat") intercorsa tra l'utente con l'username 13topina90 e il suo interlocutore, avrebbe consentito ai due di condividere materiale avente ad oggetto contenuto pedopornografico, mentre la norma richiamata prevede solo la condotta di offerta e cessione reciproche. Nel caso di specie l'invio di materiale ritenuto a carattere pedopornografico, era invece avvenuto unidirezionalmente da parte del computer dell'interlocutore a quello del ricorrente, cessionario delle immagini: di fatti non esisteva prova di invio di files da parte del ricorrente stesso. 2. Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 600 quater c.p. e mancanza e manifesta illogicità della motivazione: nella sentenza impugnata non sarebbe stata data risposta al terzo motivo di appello con il quale si poneva in evidenza la mancanza di prova dei fatti. 3. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 350 comma 5, 6, 7; 192; 442 c.p.p.; mancanza e manifesta illogicità della motivazione ed inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità , nella parte in cui non è stata ritenuta, ex art. 350 comma 6 c.p.p., l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'imputato nell'immediatezza dei fatti in assenza del difensore e riversate nell'annotazione di P.G., in quanto l'individuazione del ricorrente è stata effettuata solo su tale base. 4. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e processuale penale e violazione ed erronea applicazione degli artt. 592 e 605 c.p.p., in quanto la Corte di appello, pur ritenendo errata da parte del Giudice di primo grado l'applicazione della pena accessoria dell'interdizione perpetua prevista dall'art. 600 septies comma 2 c.p. come risulta dalla parte motiva della sentenza, non ne ha fatto cenno nel dispositivo della sentenza. Tale pena accessoria è stata introdotta dall'art. 5 Legge 6/2/2006 n. 38, e quindi in epoca successiva alla commissione dei reati contestati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso è infondato, non è infatti possibile ritenere, come asserito dal ricorrente, che la "condivisione di files", attuata nel caso di specie tramite chat, sia esclusa dalla fattispecie tipizzata al comma 4 dell'art. 600 ter c.p., che incrimina l'offerta o la cessione gratuita di materiale pedopornografico. In molte pronunce l'elemento della divulgazione via internet attraverso programmi di file sharing, è stato proprio individuato in diversità con la situazione di scambio in un semplice rapporto a due" (conf. Sez. 3, sentenza n. 24788 del 5 febbraio 2009, R.E.F.), e la riflessione giurisprudenziale ha concluso affermando che "quando il programma consenta a chiunque si colleghi la condivisione di cartelle, archivi, documenti contenenti foto pornografiche, deve ritenersi integrato il delitto di cui all'art. 600 ter c.p., comma 3. Laddove, per contro, il prelievo del ridetto materiale avvenga solo a seguito della manifestazione di volontà dichiarata nel corso di una conversazione privata, ovvero si tratti di cessione meramente occasionale, si versa nella più lieve ipotesi di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4" (cfr. Sez 3, n. 18678 del 19/3/2008, si veda anche Sez. 3, 7/12/2006 n. 593, relativo alla cessione di fotografie pornografiche minorili attraverso una chat-line; Sez. 5, 11/12/2002 n. 4900). La condivisione, insomma, altro non è che una forma di scambio di documenti informatici, tramite internet, rientrante appieno nella fattispecie di cui trattasi. Orbene, i giudici di merito hanno ricostruito i fatti addebitati al ricorrente che si concretizzarono nell'invio e ricezione di materiale pedopornografico con un solo altro utente: le immagini venivano visionate insieme all'interlocutore al fine di soddisfacimento reciproco e contestuale, tramite masturbazione. I giudici di appello hanno condiviso hanno condiviso le valutazioni della sentenza di primo grado offrendo puntale risposta alle doglienze avanzate in grado di appello e qui riproposte, essendo principio giurisprudenziale consolidato quello dell'integrazione in un unico compendio motivazionale della sentenza impugnata con quella conforme di primo grado. 2. Risultano quindi infondati anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, posto che la valutazione di utilizzabilità nel rito abbreviato delle dichiarazioni di cui al comma 7 dell'art. 350 c.p.p. risulta in linea con la giurisprudenza di legittimità (da ultimo cfr. Sez. 5, n. 18064 del 19/1/2010, Rv. 246865). 3. Peraltro questo Collegio osserva che è evidente che l'ipotesi di offerta o cessione di materiale pedopornografico (art. 600 ter, comma 4, c.p.) contiene dal punto di vista concettuale quella di detenzione inclusa nell'imputazione di cui all'art. 600 quater c.p. (procurarsi o detenere): infatti la giurisprudenza di legittimità ha affermato, in via generale, che anche la stessa divulgazione di materiale illecito presuppone la sua detenzione, perché non si può evidentemente divulgare volontariamente "materiale pedopornografico" se non si è in possesso e non si detiene consapevolmente il materiale stesso (cfr. Sez. 3, n. 11169 del 7/11/2008, Rv. 242992). E' stato quindi, in relazione allo specifico, escluso il concorso tra il delitto di cessione di materiale pedopornografico e quello di detenzione dello stesso materiale, "in quanto la condotta di detenzione rappresenta un antefatto non punibile rispetto a quella di cessione, rimanendo assorbita in quest'ultima" (Sez. 3, n. 36364 del 10/7/2008, Rv. 241036). Pertanto, all'esito della derubricazione effettuata dal giudice di primo grado del reato di divulgazione contestato ab origine al XXXXX al capo a), nella fattispecie di cui all'art. 600 ter, comma 4, c.p., l'ipotesi di cui al capo b), descrittiva di un comportamento che necessariamente è compreso nella condotta riconosciuta al capo precedente per effetto della derubricazione, deve essere considerata assorbita in quella sub a). Quindi la sentenza impugnata deve essere annullata senza limitatamente al reato sub b), perché assorbito in quello sub a) e, conseguentemente, non sussistendo più la continuazione prima computata, la decisione deve essere rinviata ad altra Sezione della Corte d'Appello di Firenze che provvederà a rideterminare la pena. 4. Quanto all'ultimo motivo di ricorso, lo stresso è fondato: con chiarezza nella parte motiva della sentenza i giudici hanno dato atto che al XXXXX non potevano essere applicate le pene accessorie ex art. 609 septies c.p., in quanto la disposizione in questione era stata introdotta successivamente al tempus commissi delicti. Nel dispositivo la affermazione non risulta riprodotta e pertanto la sentenza, nella parte relativa alla condanna alle citate pene accessorie, deve essere annullata senza rinvio, con conseguente venir meno anche della condanna dell'appellante alle spese del grado. PQM Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato sub b), perché assorbito in quello sub a). Annulla detta sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Firenze per la rideterminazione della pena. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine alle applicate pene accessorie. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011 Il Consigliere estensore Elisabetta Rosi Il Presidente Giuliana Ferrua Depositata in Cancelleria il 3 ottobre 2011 | |
Da: alescarm LECCE | 12/12/2012 11:51:13 |
LO SVOLGIMENTO DI aoxomoxoa SUL NOTAIO E' GIUSTO??? | |
Da: nessuno 2 | 12/12/2012 11:51:59 |
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