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11 dicembre 2012 - Parere Civile
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Da: DIDDì11/12/2012 14:24:43
RAGAZZI ANDATE A PAGINA 70  CI SONO BEN 2 PARERI SVOLTI,
MODIFICATE OVVIAMENTE

Da: enzo2711/12/2012 14:25:06
forza ragazzi...svolgimento traccia n.1

Da: iomemedesimo11/12/2012 14:25:26
che ne dite invece,se invece di scrivere ognuno qualcosa e disperdere tanti utenti,qualcuno non organizza in un altro topic tracce e soluzioni e chiude il topic?

Da: Alessandrooo11/12/2012 14:25:39
dove posso trovare la soluzione della prima traccia?

Da: ter11/12/2012 14:26:15
ma la soluzione della seconda???

Da: Reby 25 11/12/2012 14:26:18
ma a pagina 70 di quale discussione se qui le pagine sono soltanto 21?

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Da: cocopro11/12/2012 14:26:53
nella prima traccia, cosa scrivere in merito alla "pattuizione inerente il tasso di interesse passivo"? Come contestare il fatto che sia stato originariamente previsto un tasso extralegale?

Da: X DIDDì11/12/2012 14:27:48
ma dovè pagina 70?

Da: II traccia11/12/2012 14:28:59
Ma non è nullo un legato che consente l'acquisto di un bene e non lo attribuisce direttamente?????

Da: einutile11/12/2012 14:29:57
sotto la norma sul prelegato ci sono delle sentenze in correlazione con l'az di riduzione. andate a guardare lì

Da: Vic11/12/2012 14:30:11
penso che non esiste la pagina 70 è solo un disturbatore
c'è qualcosa contollate le pagine precedenti

Da: einutile11/12/2012 14:31:02
è probabile che il problema sia la prededuzione o meno. dopo quello sulla validità del prelegato.
la traccia vi aiuta.
dovete cercare

Da: Traccia n. 2 giurisprudenza11/12/2012 14:32:25
RIFERIMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI

Istituti da trattare: testamento olografo - legato e prelegato- quota - legittima e sua lesione

Norme: testamento 602 cc; legittima 536 ss cc; legato 649 e ss cc; prelegato 661 cc

"In materia di distinzione tra erede e legatario, a fini dell'esercizio dell'azione di riduzione, l'assegnazione di beni determinati deve interpretarsi (ai sensi dell'articolo 588 del Cc), come disposizione ereditaria (institutio ex re certa), qualora il testatore abbia inteso chiamare l'istituito nell'universalità dei beni o in una parte indeterminata di essi, considerata in funzione di quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato, se abbia voluto attribuirgli singoli individuati beni. Questa indagine però è riservata al giudice di merito, in quanto si risolve in un apprezzamento di fatto, ed è quindi incensurabile in sede di legittimità se conseguentemente motivato" Corte di cassazione, sentenza 17266/2012.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è pronunciata, su caso analogo, con sentenza numero 7098 del 29 marzo 2012. Ecco la massima che potete prendere come riferimento per la risoluzione del vostro parere. Ricordate, però, che si tratta solo di un'indicazione non ancora confermata:

"In tema di legato in sostituzione di legittima, il legittimario in favore del quale il testatore abbia disposto ai sensi dell'art. 551 c.c. un legato avente ad oggetto un bene immobile, qualora intenda conseguire la legittima, deve rinunciare al legato stesso in forma scritta ex art. 1350, primo comma, n.5 c.c., risolvendosi la rinuncia in un atto dismissivo della proprietà di beni già acquisiti al suo patrimonio; infatti, l'automaticità dell'acquisto non è esclusa dalla facoltà alternativa attribuita al legittimario di rinunciare al legato e chiedere la quota di legittima, tale possibilità dimostrando soltanto che l'acquisto del legato a tacitazione della legittima è sottoposto alla condizione risolutiva costituita dalla rinuncia del beneficiario, che, qualora riguardi immobili, è soggetta alla forma scritta, richiesta dalla esigenza fondamentale della certezza dei trasferimenti immobiliari".

Cassazione civile, Sezioni Unite, 29.3.2011, n. 7098
Legato - sostituzione di legittima - rinuncia - forma scritta.

Il legittimario in favore del quale il testatore abbia disposto ai sensi dell'art. 551 c.c. un legato avente ad oggetto beni immobili in sostituzione di legittima, qualora intenda conseguire la legittima, deve rinunciare al legato stesso in forma scritta ex art. 1350 c.c., n. 5.[...] ...la mancata rinuncia per iscritto ai sensi dell'art. 1350 c.c., n. 5, da parte dei legittimario che agisce per chiedere la legittima, al legato in sostituzione di legittima avente ad oggetto beni immobili, è rilevabile d'ufficio senza necessità di eccezione della controparte (Cass. 18-4-2000 n. 4971; Cass. 3-7-2000 n. 8878; Cass. 16-5-2007 n. 11288).

Cass. Civ., sez. II, n. 26955/2009. Accettazione e rinuncia del legato sostitutivo di legittima ed acquisizione della cosa legata.

Per la validità del testamento olografo si richiede (art. 602 c.c.) che esso sia scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore, ma non occorre anche che la sottoscrizione avvenga contestualmente alla stesura dell'atto di ultima volontà, poiché nessuna norma ne impone la redazione in un unico contesto temporale, sicché il testatore, dopo aver redatto il documento, può completarlo successivamente con la propria sottoscrizione" (Cass. 27 ottobre 2008 n. 25845).

(...) il generico intento preferenziale manifestato dal testatore con la disposizione del prelegato non è sufficiente a sottrarre i beni che ne formano oggetto all'azione di riduzione dei legittimari (Cass. 28-7-67, n. 2006)
(...) Perché la riduzione proporzionale non si applichi ad una data disposizione testamentaria, non basta infatti che con tale disposizione il testatore abbia manifestato la volontà di beneficiare una data persona a preferenza di altre, giacché una simile volontà è, almeno di solito, individuabile, in kisura più o meno notevole, in qualsiasi disposizione testamentaria ed invece occorre che il testatore abbia manifestato la ben diversa volontà di preferire una data dispiszione rispetto alle altre. E nessuna ragione giuridica autorizza a ritenere che, per il solo fatto di aver disposto un prelegato, il testatore abbia anche voluto che questo abbia effetto a preferenza delle latre disposizioni testamentarie, in caso di esercizio dell'azione di riduzione da parte dei legittimari (Cass. 24-5-62, n. 4917)


Da: pag 70  esame avvocato11/12/2012 14:32:29
SOLUZIONE TRACCIA ANATOCISMO
E' MOLTO CORPOSA MA RIPETITIVA, VI CONFERISCE LA POSSIBILITA' DI SCEGLIERE E MODIFICARE

CONTROLLATE SEMPRE IL SENSO LOGICO DI QUELLO CHE SCRIVETE

DAI CAXXO !

Con la traccia oggetto di parere mi si chiede di assumere le vesti di difensore di Caio al fine di tutelarlo in ordine alle possibilità, anche eventualmente recuperatorie,  benché problematiche, relativamente ad una serie di operazioni di conto corrente intercorse tra il 1994 ed il 2008 con la Banca X, gravate da interessi pattizi extralegali, capitalizzati sia trimestralmente che annualmente.  
Al fine di rendere il parere richiesto appare necessario muovere dagli istituti dell'anatocismo, della prescrizione dell'eventuale ripetizione di indebito e dalla natura convenzionale degli interessi passivi, con necessario coinvolgimento delle molteplici problematiche connesse al caso di specie.
Con il termine anatocismo (dal greco anà - di nuovo, e tokòs - interesse) si intende la capitalizzazione degli interessi su un capitale, affinché essi siano a loro volta produttivi di altri interessi (in pratica è il calcolo degli interessi sugli interessi). Nella prassi bancaria, tali interessi vengono definiti "composti". Un esempio di anatocismo è quello di capitalizzare (ossia sommare al capitale di debito residuo) gli interessi ad ogni scadenza di pagamento, anche se sono regolarmente pagati.
Il calcolo degli interessi in regime di capitalizzazione composta anziché in regime di capitalizzazione semplice determina una crescita esponenziale del debito, di conseguenza per periodi inferiori all'anno l'importo calcolato con la capitalizzazione composta sarà inferiore a quello che si determina nella capitalizzazione semplice.
Giuridicamente, in un'obbligazione pecuniaria l'applicazione dell'anatocismo comporterebbe, per il debitore, l'obbligo di pagamento, non solo del capitale e degli interessi pattuiti, ma anche degli ulteriori interessi calcolati sugli interessi già scaduti.
La legge autorizza il pagamento degli interessi legali sulle quote di debito (capitale e interessi), che non sono state regolarmente pagate a scadenza.
Malgrado l'anatocismo sia un istituto conosciuto dagli albori del prestito ad interesse, la normativa italiana non ha raggiunto un sufficiente grado di completezza, tant'è che la disciplina si basa ancora sul codice civile del 1942, ed in particolare sull'art. 1283 c.c.. Secondo questa norma, gli interessi scaduti, in assenza di usi contrari, possono produrre a loro volta interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. In linea di principio, il codice civile vieta un regime di capitalizzazione composta degli interessi, ovvero il pagamento degli interessi su interessi di periodi precedenti.
Nonostante la tutela approntata dal citato articolo, che subordina l'anatocismo alla compresenza di alcuni presupposti ben determinati, per circa mezzo secolo nella prassi bancaria italiana hanno trovato applicazione pressoché generalizzata, nei contratti di apertura di conto corrente, le clausole di capitalizzazione trimestrale degli impieghi. Ciò grazie (anche) all'avallo della giurisprudenza, tanto di legittimità quanto di merito, che ha affermato la validità delle clausole di capitalizzazione trimestrale, escludendo l'esistenza di un contrasto con la previsione di cui all'art. 1283 codice civile, sulla base dell'affermazione dell'esistenza di un uso idoneo a derogare al divieto di anatocismo stabilito da tale norma.
Nel 1999 la Corte di Cassazione, invertendo il proprio orientamento giurisprudenziale, ha più volte affermato la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, sostanzialmente argomentando nel senso della inesistenza di un uso normativo idoneo a derogare all'art. 1283 c.c..
Per evitare scompensi tra il lavoro dei giudici e la prassi, il legislatore ha ritenuto opportuno, con il decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342, modificare l'art. 120 del decreto legislativo 1�º settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia): tale intervento ha introdotto in materia il principio della eguale cadenza di capitalizzazione dei saldi attivi e passivi, nel contempo stabilendo - con norma transitoria - una sanatoria per il pregresso, facendo salve le clausole di capitalizzazione trimestrale contenute nei contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina.
La norma transitoria è stata però dichiarata illegittima, per eccesso di delega e conseguente violazione dell'articolo 77 Costituzione, dalla Corte Costituzionale (sentenza 17 ottobre 2000, n. 425).
Il cosiddetto "decreto salva banche" fu presentato il 23 luglio 1999, e convertito in legge n. 342 del 4 agosto 1999. La Consulta, con la citata sentenza, ha abrogato l'art. 25, comma 3, dichiarato incostituzionale per: l'irretroattività della legge, la disparità di trattamento fra soggetti del testo Unico Bancario e creditori sottoposti all'anatocismo, il non rispetto dell'autonomia e indipendenza della magistratura.
Dopo la sentenza della Consulta, del 17 ottobre 2000, un secondo decreto fu approvato il 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in legge 28 febbraio 2001, n. 24 il quale fornisce l'interpretazione autentica della legge antiusura n. 108 del 1996.
Venuta meno la norma transitoria, finalizzata ad assicurare validità ed efficacia alle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari stipulati anteriormente alla entrata in vigore della nuova disciplina, paritetica, della materia, la Corte di Cassazione ha continuato, con una ulteriore serie di sentenze (tra le altre, si veda la sentenza 13 dicembre 2002, n. 17813), a ribadire il suo approccio più recente, peraltro estendendo i principi enunciati inizialmente con riferimento al conto corrente bancario anche ai contratti di mutuo. Infine, con sentenza Cass. Civ., SS.UU., 4 novembre 2004, n. 21095, la suprema Corte ha confermato in modo netto il revirement del 1999, così consolidando il nuovo trend giurisprudenziale.
Il tema dei diritti dei correntisti alla ripetizione di somme illegittimamente addebitate sul conto, soprattutto per interessi anatocistici e commissioni di massimo scoperto, presenta diversi e noti profili autorevolmente dibattuti.
Tra questi, un aspetto saliente è costituito dall'individuazione del giorno in cui inizia a decorrere il termine di prescrizione decennale per far valere tali diritti, ai sensi dell'art. 2935 cod. civ. ("la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere").
La giurisprudenza di merito, negli ultimi anni  - in particolare, dopo che la Cassazione ha affermato l'illegittimità della capitalizzazione trimestrale praticata dalle banche, è stata chiamata numerose volte a pronunciarsi sull'argomento e si è divisa, essenzialmente, tra due orientamenti.
Un orientamento ritiene che il termine di prescrizione decorra dalla chiusura del conto corrente, considerata la natura unitaria del contratto di conto corrente bancario, il quale darebbe luogo ad un unico rapporto giuridico, sicché la serie di accreditamenti ed addebiti costituirebbe un dato contabile, mentre è solo con la chiusura del conto che si stabilisce l'entità del credito e del debito delle parti.
Un diverso indirizzo afferma che la prescrizione decorra da ciascun addebito in conto corrente, poiché la relativa annotazione produrrebbe l'effetto di modificare il saldo e consentirebbe di esercitare il diritto di ripetizione.
In questo quadro sono intervenute le Sezioni Unite (Cass., S.U., 2 dicembre 2010, n. 24418), le quali hanno stabilito che, al fine di individuare il dies a quo della prescrizione, occorre distinguere tra il caso in cui il cliente gode di una apertura di credito (e perciò il versamento sul conto serve a ripristinare la provvista) ed il caso in cui il conto è scoperto o il versamento sia comunque extra fido (qui il versamento è un vero pagamento, con natura solutoria).
Nella prima ipotesi, ha giudicato la Corte di legittimità, il termine di prescrizione decorre dalla chiusura del conto, poiché i precedenti addebiti, appunto, non sono qualificabili tecnicamente come pagamenti; nella seconda ipotesi, invece, ogni versamento corrisponde ad un vero pagamento e come tale (ove fosse eseguito per effetto di una clausola nulla) produce immediatamente il diritto del cliente di chiederne la ripetizione, ed il termine di prescrizione di tale diritto, di conseguenza, inizia a decorrere subito.
Tale soluzione, seppure con le suddette distinzioni, dava un quadro finalmente solido in termini di certezza del diritto.
Ma, come la dottrina ha prontamente segnalato , il legislatore è intervenuto con una "particolarmente tempestiva previsione", mutando in modo radicale i termini della questione.
La norma cui si allude è l'art. 2, co. 61, del d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, conv. con modif. dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10.
Il suo tenore è il seguente: "in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 cod. civ. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto".
Il senso della disposizione, così come colto da molte decisioni che l'hanno applicata (senza ravvisarne profili di illegittimità costituzionale), è che la prescrizione del diritto alla ripetizione inizia a decorrere, per ciascun addebito, dal momento in cui è avvenuta l'inerente annotazione in conto.
Il che si traduce nell'estinzione della gran parte delle pretese, specialmente in materia di anatocismo, atteso che in tale ambito, com'è noto, le controversie riguardano prevalentemente operazioni poste in essere negli anni '80 e '90 del secolo scorso, in relazione alla disciplina all'epoca vigente.
Taluni Giudici di merito, tuttavia, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale, in particolare censurando l'effetto retroattivo della norma, da cui sono scaturite nove ordinanze di rimessione alla Consulta.
Da qui l'ultimo capitolo della vicenda: la Corte Costituzionale, con sentenza del 5 aprile 2012, n. 78, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma sopra citata.
La Corte Costituzionale ha affermato che il principio di irretroattività della legge civile (art. 11 prel.) costituisce un valore fondamentale di civiltà giuridica e, pertanto, il legislatore può introdurre norme di interpretazione autentica, tali da incidere anche su situazioni preesistenti, solo se vi sia una situazione di obiettiva incertezza del dato normativo, oppure un contrasto giurisprudenziale irrisolto, o la necessità di recuperare il significato aderente all'originaria volontà del legislatore; e, comunque, sul presupposto che l'interpretazione autentica fornisca un significato già contenuto nella norma di legge interpretata, riconoscibile come una delle possibili letture del testo.
Sulla scorta di tale premessa la Consulta ha censurato la norma in questione, in quanto la stessa, derogherebbe con riferimento all'art2935 senza alcuna ragionevole giustificazione.
Da questa decisione si possono ora trarre due considerazioni di sintesi.
La prima è che per individuare il termine da cui decorre la prescrizione si ripristinano i criteri già emersi nella giurisprudenza precedente e sopra richiamati; dunque non si può fare riferimento alla norma dichiarata illegittima, con effetto (questo) certamente retroattivo, ossia valido anche per i giudizi pendenti, salvo il solo limite del giudicato (cfr. Cass., 6 maggio 2010, n. 10958).
La seconda considerazione è che, non solo vi è un "ripristino" degli orientamenti precedenti, ma vi è anzi un deciso rafforzamento dell'indirizzo maggioritario, per il quale la prescrizione decorre dalla chiusura del conto. Il contrario orientamento (prescrizione decorrente dai singoli addebiti), secondo la Corte Costituzionale, non può neppure ricondursi ad uno dei possibili significati dell'art. 2935 cod. civ.
Per ciò che attiene alla pattuizione di interessi passivi, l'Art.1284 commi 2�° e 3�° c.c. recita: "Allo stesso saggio (legale) si computano gli interessi convenzionali, se le parti non ne hanno determinato la misura. Gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto, altrimenti sono dovuti nella misura legale".
La L.154/1992, prima (artt. 2- 3- 4- 5- 6), ed il T.U. bancario n. 385 del 1993, poi, hanno introdotto obblighi generali di pubblicità e di pattuizione scritta delle condizioni contrattuali in materia bancaria e finanziaria, sancendo la nullità delle clausole di mero rinvio agli usi, per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizioni praticati, nonché delle clausole che prevedono tassi, prezzi, condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati, con un meccanismo di integrazione ex lege della clausola nulla, e stabilendo anche la necessità di comunicazioni specifiche al cliente - nei contratti di durata in cui sia stato convenuto, in una apposita clausola contrattuale, specificamente sottoscritta dal cliente, l'esercizio, da parte della banca, dello ius variandi dei tassi, dei prezzi e delle altre condizioni - delle variazioni a lui sfavorevoli, con diritto di recesso del medesimo cliente (art.118).
Lo ius variandi è stato comunque introdotto legislativamente solo con l'art.4 L.154/1992 (prima vi era solo di disposto di cui all'art.1283 c.c.). Viene quindi, con detta normativa, definitivamente sancita la nullità delle clausole per relationem determinative degli interessi ultralegali.
La Corte di Cassazione è intervenuta in diverse pronunce sulla problematica relativa alle clausole di mero rinvio agli usi di piazza, contenute nei contratti stipulati antecedentemente alla L.154/1992 ed al T.U. 385/1993 ed ancora in essere. All'art.7 delle norme generali regolanti il rapporto, riportate nel contratto, era infatti previsto che "gli interessi dovuti dal correntista, salvo patto diverso, si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza e producono a loro volta interessi nella stessa misura".
Secondo l'orientamento oggi prevalente, la convenzione relativa agli interessi (nel regime anteriore alla L.154/192) deve ritenersi correttamente stipulata, ex art.1284 c.c., solo quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri, anche estrinseci rispetto al documento negoziale, univoci ed oggettivamente indicati, essendo nulla la clausola, delle condizioni generali di contratto, contenente un generico riferimento "alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza", ove non coordinata all'esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari che garantiscano, sin dall'atto della costituzione del rapporto, la totale assenza di discrezionalità nell'apprensione ed utilizzo del dato, vale a dire la misura del saggio.
In ogni caso tali clausole, stipulate anteriormente all'entrata in vigore della L.154/1992, sono divenute improduttive di ulteriori effetti, a partire dal 9/7/1992, data di entrata in vigore della nuova normativa, implicante espressamente la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, in quanto tale disciplina innovativa, se non incide sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, per i principi regolanti le successioni delle leggi nel tempo, impedisce che esse possano continuare a produrre ulteriori effetti per l'avvenire nei rapporti ancora in corso.
Da notare che, di recente, la Suprema Corte (C.C. 4490/2002) ha ritenuto irrilevante la presenza di accordi di cartello interbancari, diretti a fissare i tassi di interesse attivi e passivi in modo vincolante in ambito comunitario, dovendo ritenersi detti accordi nulli in applicazione dell'art.2 della legge 287/199 che vieta le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.
Risultano quindi nulle, anche relativamente ai contratti stipulati prima dell'entrata in vigore (giugno 1992) della L.154/1992, sia le clausole che non prevedono una specifica pattuizione scritta del tasso degli interessi, ma un generico rinvio agli usi di piazza, sia le clausole legittimanti l'esercizio da parte della banca di uno ius variandi in peius , rispetto al correntista, senza criteri di sufficiente, oggettiva e certa determinabilità del tasso applicato poi al rapporto. Alla declaratoria di nullità della clausola, consegue quindi l'applicazione dell'interesse legale ex art.1284 c.c.
Alla luce di quanto premesso, appare quanto mai opportuno prendere le mosse dalla citata sentenza delle S.U. del 2004 (n. 21095) , con la quale era stato statuito che la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi contenuta nei contratti predisposti dagli istituti di credito è nulla, perché non corrisponde ad un uso normativo. La materia, giova ribadire, è regolata dall'art. 1283 c.c., il quale dispone che "In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi".
Già nel 1999 erano comunque intervenute numerose pronunzie della Corte di Cassazione (Cass. n. 2374/99; n 3096/99; n. 3845/99), le quali, in sede di esegesi della richiamata disposizione, ponendosi in consapevole e motivato contrasto con sentenze del ventennio precedente, hanno affermato il principio - reiteratamente confermato in altre ancora più recenti - secondo il quale "gli usi contrari", idonei ex art. 1283 a derogare il precetto ivi stabilito, sono solo quelli "normativi" in senso tecnico, desumendone per l'effetto la nullità delle clausole bancarie anatocistiche, rispondendo la stipulazione delle medesime ad un uso meramente negoziale. Il nuovo corso giurisprudenziale era ormai stabile, ma fu comunque opportuno che anche le Sezioni Unite si pronunciassero: ogni dubbio era così da considerarsi, di conseguenza, eliminato e l'anatocismo da ritenersi illecito, produttivo dell'invalidità della relativa pattuizione e fonte dell'obbligo di rimborsare ai sensi dell'art. 2033 c.c. quanto trattenuto dall'istituto a tale titolo.
Una volta riconosciuto il diritto alla ripetizione delle somme trattenute dagli istituti per anatocismo, è sorta la questione relativa al termine di prescrizione del diritto alla rifusione del "maltolto".
In seguito alla virata giurisprudenziale del 1999 di cui si è detto, il legislatore è intervenuto con l'art. 25 d.lvo 4 agosto 1999 n. 342. Tale norma ha sostituito l'art 120 del d.lvo 1 settembre 1993 n. 385 (t.u.), disponendo, tra l'altro, che Il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) dovesse stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria. Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturate, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio 2000, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà le modalità e i tempi dell'adeguamento. In difetto di adeguamento le clausole divengono inefficaci e l'inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente.
È quindi, come già cennato, intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza 17 ottobre 2000 n. 425 che ha dichiarato l'illegittimità di tale ultimo comma. Il che, peraltro, non ha fatto venir meno quello precedente che demanda al CICR la formulazione della disciplina dell'anatocismo bancario. Tant'è che detto organo ha emanato la delibera 9 febbraio 2000, che consente, ma non retroattivamente, la capitalizzazione periodica degli interessi a determinate condizioni, le cui principali sono: che la periodicità della capitalizzazione sia la medesima per gli interessi attivi e per quelli passivi (diversamente da quanto avveniva in precedenza, perché una, la seconda, era trimestrale, mentre l'altra annuale); che la clausola sia espressamente approvata per iscritto.
Con sentenza 05 aprile 2012 n. 78, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 61, del d.l. 29 dicembre 2010, n. 225 (c.d. Milleproroghe), convertito, con modificazioni, dalla l. 26 febbraio 2011, n. 10, il quale prevedeva che "In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione d'importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto".
Secondo la Corte, la norma censurata violava, con la sua efficacia retroattiva, il canone generale della ragionevolezza delle leggi (art. 3 Cost.). La stessa era, infatti, intervenuta sull'art. 2935 c.c. in assenza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, perché, in materia di decorrenza del termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, a parte un indirizzo del tutto minoritario della giurisprudenza di merito, si era ormai formato un orientamento maggioritario, che aveva trovato riscontro in sede di legittimità ed aveva condotto ad individuare nella chiusura del rapporto contrattuale o nel pagamento solutorio il dies a quo per il decorso di quel termine. La disposizione censurata, lungi dall'esprimere una soluzione ermeneutica rientrante tra i significati ascrivibili al citato art. 2935., derogava nettamente ad esso , innovando rispetto al testo previgente, senza peraltro alcuna ragionevole giustificazione. Per la Consulta l'efficacia retroattiva della deroga rendeva, per l'effetto, asimmetrico il rapporto contrattuale di conto corrente perché, retrodatando il decorso del termine di prescrizione, finiva per ridurre irragionevolmente l'arco temporale disponibile per l'esercizio dei diritti nascenti dal rapporto stesso. Con ciò veniva pregiudicata la posizione giuridica dei correntisti che, nel contesto giuridico anteriore all'entrata in vigore della norma denunziata, avevano avviato azioni dirette a ripetere somme illegittimamente addebitate loro.
Di qui la violazione dell'art. 3 Cost., perché la norma censurata, facendo retroagire la disciplina in esso prevista, non rispettava i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza.
E così l'abusivo comportamento della banche di capitalizzare trimestralmente gli interessi passivi maturati a carico del cliente, e di computare anche su questi quelli del trimestre successivo ha trovato un'ulteriore censura.
Da quanto esposto discende che, essendo la materia stata regolata dal citato provvedimento espressamente previsto dalla legge, la questione si pone ormai per il periodo antecedente l'entrata in vigore dello stesso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 22 febbraio 2000 n. 43. Per quello successivo vi è, infatti, soltanto da verificare se l'istituto si sia adeguato alla normativa. Per quello precedente non vi sono dubbi in merito alla decorrenza del termine di prescrizione del diritto di ripetizione. Secondo le Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. n. 24418/10) ed oggi anche per la Corte Costituzionale il dies a quo coincide con la chiusura del conto. In altre parole, il termine decennale per chiedere la restituzione va fatto partire da quel momento,senza che abbia alcuna rilevanza il fatto che banca, dal 9 febbraio 2000 in poi, si sia uniformata alle disposizioni di cui si è detto. Potrà chiedersi tutto ciò che è stato trattenuto dall'apertura del conto, o meglio da quando quest'ultimo è stato in rosso, fino al 2000.
Resta a questo punto da chiedersi chi possa avvalersi delle pronunzie della Suprema Corte e della Consulta. La restituzione degli importi illegittimamente trattenuti dall'istituto può essere chiesta da chiunque, persona fisica, associazione, fondazione o società abbia intrattenuto con una banca un rapporto produttivo d'interessi passivi. Insomma, l'azione di ripetizione può essere intrapresa non solo da consumatori, ma anche da enti.
Per quanto riguarda il tipo contrattuale, da cui esso scaturisce, può trattarsi sia di conti correnti, sia di mutui, sia di contratti quali le anticipazioni su crediti: basta, come detto, che il medesimo fosse "in rosso", cioè passivo. Caio, prima di adire le vie legali, invierà per mio tramite una raccomandata a.r. alla banca con la richiesta di restituzione degli importi trattenuti in violazione dei citati precetti.

Da: mack mack11/12/2012 14:33:18
TRACCIA N. 1

Caio, cliente da anni della banca X riferisce di aver versato alla stessa, dopo la chiusura di alcuni rapporti di conto corrente con essa intrattenuti fra il 1994 e il 2008, l'importo comprensivo di interessi computati ad un tasso extralegale, e capitalizzati trimestralmente per parte della durata dei suddetti rapporti e successivamente capitalizzati annualmente. Il candidato assunte le vesti del difensore di Caio, rediga motivato parere sugli istituti e su problematiche sottese alla fattispecie soffermandosi in particolare sulla eventuale prescrizione dell'indebito, sull'anatocismo e sulla pattuizione inerente tasso di interesse passivo.

RIFERIMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI

"Qualora dopo la cessazione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisca per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatoicistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale, cui tale azione di ripetizione è soggetta, decorre, ove i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui sono stati registrati gli interessi non dovuti". Cass. SS. UU. n 24418 del 2.12.2010.

La Cassazione a Sezioni Unite aveva stabilito, con la sentenza n.24418 del 2010, il diritto dei correntisti ad ottenere il rimborso delle somme addebitate illegittimamente dalle banche sul conto corrente, con la capitalizzazione trimestrale degli interessi.
La Suprema Corte, condividendo la precedente pronuncia delle Sezioni Unite n. 21095/04, aveva precisato che la prescrizione del diritto di ottenere la restituzione delle somme decorreva dalla chiusura del rapporto e non dalla data della singola annotazione a debito sul conto, garantendo in tal modo la resa dell'indebito.
In senso opposto a tale pronunzia è l'art. 2, co 61, della L. n. 10 del 2011, di conversione del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, (c.d. "Milleproroghe"), secondo cui:"in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge". Pertanto, è stato introdotto un nuovo sistema di calcolo per i tempi di prescrizione: i dieci anni decorrono non dalla chiusura del conto corrente, ma dalla singola operazione bancaria. Le conseguenze di questa norma "salva banche" sono sfavorevoli al cittadino, il cui diritto al ricorso in tal modo si prescrive molto prima.
La Corte Costituzionale con la sentenza del 2 aprile 2012, n. 78 ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 2, co. 61 della L. n. 10/2011, Decreto Milleproroghe, relativo alla capitalizzazione trimestrale dell'interesse, in quanto esso violava l'art. 3 Cost. In effetti, la norma censurata, facendo retroagire la disciplina prevista, non rispetta il canone generale di eguaglianza e ragionevolezza delle norme (art. 3 Cost.).

Riferimenti Codice Civile: artt 1283, 1842, 1857, 2033, 2935

Da: L''AVVOCATO NEL CASSETTO11/12/2012 14:33:53
Dovete far riferimento alla sentenza n. 24418/2010.

Da: mack mack11/12/2012 14:33:55
TRACCIA N. 2
Alla morte di Mevia in Roma, si apre la successione fra i coeredi tizio caio e sempronio figli della stessa. Tizio e Caio ritengono che l'eredità della madre debba dividersi secondo legge stante l'assenza di volontà testamentaria. Sempronio per contro, rivela l'esistenza di un testamento olografo in suo possesso redatto dalla madre, con il quale la stessa destina alcuni beni indivisametne ai tre figli, assegnandone altri ai singoli coeredi prevedendo altresì un prelegato a favore di sempronio avente ad oggetto l'acquisto di un appartamento nella zona di Roma che "Sempronio Preferisce" e l'acquisto di un servizio di posate in argento.
Gli altri figli di Mevia avanzano dubbi sulla autenticità del testamento. Assunte le vesti del difensore di Tizio e Caio il candidato formuli motivato parere illustrando gli istituti e le problematiche sottese alla fattispecie soffermandosi in particolare sulla validità del prelegato per come previsto dalla testatrice e sulle relazione fra l'istituto del prelegato l'eventuale azione di riduzione per lesione .

RIFERIMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI

Istituti da trattare: testamento olografo - legato e prelegato- quota - legittima e sua lesione

Norme: testamento 602 cc; legittima 536 ss cc; legato 649 e ss cc; prelegato 661 cc

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è pronunciata, su caso analogo, con sentenza numero 7098 del 29 marzo 2012. Ecco la massima che potete prendere come riferimento per la risoluzione del vostro parere. Ricordate, però, che si tratta solo di un'indicazione non ancora confermata:

"In tema di legato in sostituzione di legittima, il legittimario in favore del quale il testatore abbia disposto ai sensi dell'art. 551 c.c. un legato avente ad oggetto un bene immobile, qualora intenda conseguire la legittima, deve rinunciare al legato stesso in forma scritta ex art. 1350, primo comma, n.5 c.c., risolvendosi la rinuncia in un atto dismissivo della proprietà di beni già acquisiti al suo patrimonio; infatti, l'automaticità dell'acquisto non è esclusa dalla facoltà alternativa attribuita al legittimario di rinunciare al legato e chiedere la quota di legittima, tale possibilità dimostrando soltanto che l'acquisto del legato a tacitazione della legittima è sottoposto alla condizione risolutiva costituita dalla rinuncia del beneficiario, che, qualora riguardi immobili, è soggetta alla forma scritta, richiesta dalla esigenza fondamentale della certezza dei trasferimenti immobiliari".

Cassazione civile, Sezioni Unite, 29.3.2011, n. 7098
Legato - sostituzione di legittima - rinuncia - forma scritta.

Il legittimario in favore del quale il testatore abbia disposto ai sensi dell'art. 551 c.c. un legato avente ad oggetto beni immobili in sostituzione di legittima, qualora intenda conseguire la legittima, deve rinunciare al legato stesso in forma scritta ex art. 1350 c.c., n. 5.[...] ...la mancata rinuncia per iscritto ai sensi dell'art. 1350 c.c., n. 5, da parte dei legittimario che agisce per chiedere la legittima, al legato in sostituzione di legittima avente ad oggetto beni immobili, è rilevabile d'ufficio senza necessità di eccezione della controparte (Cass. 18-4-2000 n. 4971; Cass. 3-7-2000 n. 8878; Cass. 16-5-2007 n. 11288).

Cass. Civ., sez. II, n. 26955/2009. Accettazione e rinuncia del legato sostitutivo di legittima ed acquisizione della cosa legata.

Per la validità del testamento olografo si richiede (art. 602 c.c.) che esso sia scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore, ma non occorre anche che la sottoscrizione avvenga contestualmente alla stesura dell'atto di ultima volontà, poiché nessuna norma ne impone la redazione in un unico contesto temporale, sicché il testatore, dopo aver redatto il documento, può completarlo successivamente con la propria sottoscrizione" (Cass. 27 ottobre 2008 n. 25845).

(...) il generico intento preferenziale manifestato dal testatore con la disposizione del prelegato non è sufficiente a sottrarre i beni che ne formano oggetto all'azione di riduzione dei legittimari (Cass. 28-7-67, n. 2006)
(...) Perché la riduzione proporzionale non si applichi ad una data disposizione testamentaria, non basta infatti che con tale disposizione il testatore abbia manifestato la volontà di beneficiare una data persona a preferenza di altre, giacché una simile volontà è, almeno di solito, individuabile, in kisura più o meno notevole, in qualsiasi disposizione testamentaria ed invece occorre che il testatore abbia manifestato la ben diversa volontà di preferire una data dispiszione rispetto alle altre. E nessuna ragione giuridica autorizza a ritenere che, per il solo fatto di aver disposto un prelegato, il testatore abbia anche voluto che questo abbia effetto a preferenza delle latre disposizioni testamentarie, in caso di esercizio dell'azione di riduzione da parte dei legittimari (Cass. 24-5-62, n. 4917)

Da: vera8011/12/2012 14:36:45
ragazzi per favore parere svolto per la prima traccia?

Da: esami11/12/2012 14:38:21
xfv qualcuno ha il parere svolto della seconda traccia

Da: Alessandrooo11/12/2012 14:41:04
x pag 70 esame avvocato

è la soluzione completa del caso?

Da: MccccTor11/12/2012 14:41:14
Il legato in sostituzione di legittima NON CENTRA NULLA!!!! è una sentenza molto in voga ma non centraaaaa lo volete capire??non vi fate confondere...ragionate é semplice, ribadisco 1. Autenticità del test olografo 2. Legato di genere ad efficacia obbligatoria ( nullo perché la dizione preferisce é indeterminato) 3. Azione eventuale di riduzione. Non ho codici ne sentenze ma leggendo la traccia in dieci minuti si evince questo! Forzaaaaa

Da: marily85 11/12/2012 14:41:34
ragazzi non c'entra nulla la sostituzione di legittima non vi confondete

Da: forza....11/12/2012 14:47:00
QUAESTIO IURIS
In tema di anatocismo, la disciplina codicistica prevede una norma ritenuta imperativa, l'art. 1283 c.c., che, per le finalità di ordine pubblico ed economico perseguite, vieta il fenomeno della cd. produzione degli interessi sugli interessi che, rischiando di produrre una moltiplicazione incontrollabile dell'esposizione debitoria, potrebbe creare fenomeni sostanzialmente usurari.
Nonostante la previsione di un siffatto divieto generale, il legislatore disciplina tre ipotesi derogatorie che, in via eccezionale, autorizzano l'operatività del meccanismo anatocistico.
Invero, l'art. 1283 c.c. ammette:
l'anatocismo convenzionale, cioè quando vi sia una pattuizione espressa successiva alla scadenza degli interessi;
l'anatocismo legale, nel presupposto di una domanda giudiziale esplicita  e chiara finalizzata all'accertamento e alla condanna al pagamento degli interessi fruttificati;
l'anatocismo usurario o usuale, per cui se sussistono usi contrari, che devono essere normativi, esso è ammissibile anche oltre i limiti posti per quello convenzionale e legale.
Con riferimento all'anatocismo usuale, si è posto il problema se si potesse considerare un uso normativo e come tale legittimo, quello recepito dalle norme bancarie uniformi (art. 7 ABI)  che prevedono un doppio binario di capitalizzazione degli interessi sul conto corrente bancario: per i saldi attivi una periodicità annuale, per i saldi passivi una periodicità trimestrale.
A riguardo, la giurisprudenza (tra le tante, Cass. n. 2374/1999; Cass. n. 11466/2008) ha chiarito che questo uso, pur recepito dalle norme bancarie uniformi, ha carattere negoziale e non normativo, e non rientra nelle deroghe di cui all'art. 1283 c.c..
Nonostante il suesposto indirizzo giurisprudenziale, la rilevanza economica della fattispecie, ha imposto un intervento normativo, attuato con il d.lgs.342/1999 che, modificando l'art. 120 TU in materia bancaria e creditizia, ha previsto un quarto tipo di anatocismo, quello bancario. In virtù di questa disposizione si ritengono ammissibili, in conformità alle indicazioni impartite dal CICR, anatocismi in deroga al 1283 c.c., dunque anche trimestrali, purché i periodi di capitalizzazione siano identici nei rapporti attivi e passivi.
All'indomani della riforma del 1999, si è posto il problema della validità delle clausole anteriori al d.lgs 342, in attuazione delle quali le banche hanno riscosso interessi in base a convenzioni nulle, perché contrarie al 1283 c.c. che, come visto, vieta l'anatocismo quale principio di carattere generale, ammettendo unicamente tre eccezioni.
Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione che con la pronuncia n. 21095 del 2004 hanno precisato che  la prassi bancaria consistente nella previsione di clausole, accessorie ai contratti di conto corrente, di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito, doveva considerarsi uso negoziale (o pattizio) e non normativo, quindi non idoneo a derogare al meccanismo impositivo di cui all'art. 1283 c.c. e che ogni qualvolta al correntista  era imposta una siffatta clausola, essa doveva ritenersi nulla e tutte le somme precedentemente riscosse dall'istituto di credito dovevano, per la regola della ripetizione dell'indebito, essere restituite.
Alla luce di queste argomentazioni, si sono poste una serie di questioni che sono state risolte di recente dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010.
In primo luogo, la Suprema Corte ha affrontato la problematica relativa all'individuazione del momento di decorrenza della prescrizione dell'azione di ripetizione del'indebito.
Giova considerare che alle azioni restitutorie non si applica la regola dell'imprescrittibilità dell'azione di nullità, anche se la clausola è nulla, ma il termine di prescrizione decennale, in base al combinato disposto degli artt. 2948 e 2033 c.c..
Relativamente al dies a quo, in precedenza, la giurisprudenza aveva affermato che il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute indebitamente dalla banca a titolo di interessi su di un'apertura di credito in conto corrente, decorra dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi.
A siffatto orientamento sono state avanzate delle critiche, mosse dal rilievo secondo cui l'unitarietà del rapporto giuridico derivante dal contratto di conto corrente bancario non è  l'unico elemento utile ad individuare nella chiusura del conto il momento da cui debba decorrere il suddetto termine di prescrizione.
Invero, ogni volta che un rapporto di durata richieda prestazioni in denaro ripetute, l'unitarietà del rapporto contrattuale ed il fatto che sia destinato a protrarsi nel futuro, non impedisce di qualificare indebito ciascun pagamento non dovuto, se ciò dipenda dalla nullità del titolo giustificativo dell'esborso, sin dal momento in cui il pagamento stesso si è verificato: ed è sempre da quel momento che sorge il diritto del solvens alla ripetizione, e che la relativa prescrizione inizia a decorrere.
Ebbene, in linea generale, perché possa sorgere il diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito, tale pagamento deve esistere, deve essere ben individuabile, deve determinare uno spostamento patrimoniale e non deve avere una idonea causa giustificativa.
Dunque, la Cassazione, sez. un., 2 dicembre 2010, afferma che può sostenersi decorso il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione solamente da quando sia intervenuto un pagamento che l'attore del processo sostenga essere indebitamente eseguito.
Lo stesso dovrà dirsi nel caso in cui il pagamento sia dichiarato indebito in conseguenza dell'accertata nullità del negozio giuridico in esecuzione del quale sia stato effettuato.
Ma il correntista non potrà agire per la ripetizione di un pagamento che da parte sua non ha ancora avuto luogo.
Invero, come si evince dagli artt. 1842 e 1843 c.c., con l'apertura di credito la banca pone a disposizione del cliente una somma  di denaro che questi potrà utilizzare anche in più riprese, con la facoltà di ripristinarne in tutto o in parte la disponibilità eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali prelevamenti, entro il limite del credito accordatogli.
Pertanto, se durante l'apertura di credito, il correntista non abbia effettuato versamenti, è indiscutibile che non vi possa essere alcun pagamento da parte del correntista, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli abbia provveduto a restituire alla banca il denaro messo a sua disposizione e concretamente utilizzato.
Per questo motivo, qualora la restituzione abbia ecceduto il dovuto a causa del computo degli interessi in misura non consentita, l'azione di ripetizione dell'indebito potrà essere esercitata in un momento successivo alla chiusura del conto, e solo da quel momento comincerà a decorrere il relativo termine di prescrizione.
Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione, se hanno avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. E questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto scoperto. Non è così, invece, se i versamenti in conto rappresentino unicamente atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può continuare a godere.
A ben vedere, potrà quindi ritenersi pagamento ripetibile solo quello avvenuto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia diritto di chiedere la restituzione al cliente del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e perciò da restituire se corrisposti dal cliente all'atto della chiusura del conto.
Pertanto, il termine decennale di prescrizione dell'azione di restituzione decorre dalla chiusura del conto, piuttosto che dalle singole poste di debito.
La Corte di Cassazione, sez. un., 2 dicembre 2010,n. 24418, ha poi affrontato e risolto la diversa questione di come debbano essere calcolati gli interessi passivi successivamente alla declaratoria di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, e cioè se debbano essere conteggiati con capitalizzazione annuale o senza alcuna capitalizzazione.
Ebbene, in qualche contenzioso, gli istituti bancari si erano orientati nel senso non di restituire al cliente le somme illegittimamente incamerate relative agli interessi passivi anatocistici calcolati trimestralmente, ma di restituirle solo in parte, in virtù di un ricalcolo autonomamente applicato che avrebbe consentito loro di trattenere quella parte di interessi che avrebbero percepito se avessero fin dall'inizio del rapporto praticato una capitalizzazione annuale, in sostanza convertendo la clausola di capitalizzazione da trimestrale ad annuale.
Questa impostazione è da considerarsi inaccettabile, principalmente per la ragione secondo la quale il nostro ordinamento vieta l'anatocismo anche annuale se non c'è una convenzione posteriore alla scadenza, una domanda giudiziale o un uso normativo.
Poi, sarebbe arbitrario che, nel negare l'esistenza di usi normativi di capitalizzazione trimestrale, si riconoscesse la presenza di usi normativi di capitalizzazione annuale.
Pertanto, è più convincente quell'interpretazione che impone una restituzione integrale delle somme indebitamente percepite dagli istituti bancari, che hanno applicato l'anatocismo trimestrale passivo, senza dar adito a ricalcoli arbitrari basati su meccanismi di conversione.

LA SOLUZIONE di Cassazione, Sezioni Unite, 2 dicembre 2010, n. 24418
Alla luce delle suesposte argomentazioni, le Sezioni Unite della Cassazione, con la pronuncia del 2 dicembre 2010, n. 24418, enunciano i seguenti principi di diritto:
1. Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.
2. L'interpretazione data dal giudice di merito all'art. 7 del contratto di conto corrente bancario, stipulato dalle parti in epoca anteriore al 22 aprile 2000, secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli interessi contemplata dal comma 1, di detto articolo si riferisce ai soli interessi maturati a credito del correntista, essendo invece la capitalizzazione degli interessi a debito prevista dal comma successivo su base trimestrale, è conforme ai criteri legali d'interpretazione del contratto ed, in particolare, a quello che prescrive l'interpretazione sistematica delle clausole; con la conseguenza che, dichiarata la nullità della surriferita previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c., (il quale osterebbe anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna.

Da: sissi12x9011/12/2012 14:47:03
nn si capisce nulla dovreste mettere le soluzioni dei pareri in una pagina perchè così perdiamo tempo noi e non aiutiamo affatto chi sta dentro. grazie

Da: Alessandrooo11/12/2012 14:49:16
mi risponde qualcuno? la soluzione del i caso di pag 70 è completa?

Da: ter11/12/2012 14:50:52
MA IL LEGATO IN SOSTITUZIONE DI LEGITTIMA PERCHè CE LO METTETE DENTRO?

Da: asterix01 11/12/2012 14:51:22
è compito di chi vuole avvalersi del testamento (e dunque dei convenuti) dimostrare che esso fu redatto in un momento di lucido intervallo (così Cass. 8079/05; 9508/05; 26002/08; 13630/09).

Da: fattisentire11/12/2012 14:51:40
ragazzi qual'è la soluzione della 2 traccia

Da: cix11/12/2012 14:52:54
oltre  quella del 2011 avete sentenza sulla seconda traccia
^

Da: ter11/12/2012 14:53:24
la soluzione della prima è uscita,

purtroppo per la seconda non penso ci siano speranze si continua a parlare di legato in sostituzione di legittima che non si sa se c'entra a poco dalla consegna...figuriamoci...

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