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Da: angelogiorgianni | 20/03/2008 00:17:00 |
solo amicizia? non lo so....lei stessa mi diceva...ma che senso ha?..ed io non sapevo risponderle...forse non c'è una risposta... | |
Da: angelogiorgianni | 20/03/2008 00:18:14 |
non ti posso dire di più perchè è abbastanza nota in questo forum... | |
Da: angelogiorgianni | 20/03/2008 00:19:22 |
forse hai ragione tu...la canzone che prima ho pensato per lei era la mia proiezione...nel senso che me la sono autodedicata senza saperlo... | |
Da: Gaetano | 20/03/2008 00:19:30 |
Notaaa, o me sfuggita na gnocca! Ma te l'hai vista in foto almeno, che tipa è ? | |
Da: angelogiorgianni | 20/03/2008 00:20:34 |
la foto non me l'ha mandata...ad altri si, a me no...ma, ti ripeto, è bella davvero...e non solo esteticamente.... | |
Da: Gaetano | 20/03/2008 00:22:49 |
vabbè allora stronzissima e tu stracotto, è chiaro, ma ad altri ragazzi a mandato la foto ? t'ha detto lei ? che tipo è, bionda bruna formosa...com'è... dimmiiiiiiii | |
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Da: angelogiorgianni | 20/03/2008 00:23:12 |
gaetano, mi ha fatto piacere parlare con te...ora devo andare a nanna...il piccolo reclama la mia presenza e domani, all'alba, mi devo alzare e studiare un pò...ti ringrazio per l'occasione di aver potuto scrivere a te quello che avrei voluto scrivere a lei... | |
Da: Gaetano | 20/03/2008 00:24:03 |
non mi rispondi alla mia curiosità morbosa ? | |
Da: impiccione | 20/03/2008 00:24:46 |
ma de che state a parlà?!! | |
Da: angelogiorgianni | 20/03/2008 00:24:52 |
no..non credo che abbia mandato foto ad altri...credo che qualcuno l'abbia ma non so il motivo...ma questo, ti ripeto, non è importante..so quanto sia bella per quello che ci siamo detti..di più non posso dirti...davvero....ora devo andare...grazie per la compagnia | |
Da: Gaetano | 20/03/2008 00:25:19 |
buonanotte. | |
Da: angelogiorgianni | 20/03/2008 00:25:51 |
buonanotte!!! | |
Da: X Gaetano | 20/03/2008 00:27:11 |
scusa, lui e' sposato, con figlio, in cerca di un' amicizia piu' intima e tu critichi lei?Certo che sei strano! | |
Da: Gaetano | 20/03/2008 00:28:35 |
io voglio sapè se era biona bruna castana rossa, se era bona, ma mò chi me risponde ? e soprattutto dove la trovo ? che nick usa!!! | |
Da: X Gaetano | 20/03/2008 00:30:18 |
L'hai criticata tanto, secondo te ti prende in considerazione?Magari in questo momento ti sta leggendo! | |
Da: X Gaetano | 20/03/2008 00:31:26 |
Magari in questo momento vorrebbe dirtene 4, per l' aggettivo che hai usato contro di lei! | |
Da: passante | 20/03/2008 00:32:08 |
credo sia francesca (almeno dalle cose dette) del concorso di 200 istrutt. ammin. | |
Da: impiccione | 20/03/2008 01:11:58 |
concordo con passante.....mi sa che è Francesca. | |
Da: x angelo giorgianni | 20/03/2008 01:14:44 |
un consiglio...pensa alla tua vita reale e alla tua famiglia e lascia perdere queste "amicizie" virtuali... | |
Da: Claudia | 20/03/2008 10:26:35 |
Scusate... pensavo avessimo creato un forum SERIO... ripropongo la domanda sulla relazione tra la DIA e il silenzio... | |
Da: infingardo | 20/03/2008 10:46:26 |
ma sai alcuni non hanno amici reali e si abbandonano ad amicizie virtuali. Può essere uno stato di necessità, comunque illusorio secondo me,. | |
Da: ..... | 20/03/2008 12:16:11 |
hai proprio ragione.... | |
Da: x angelo giorgianni | 20/03/2008 20:01:26 |
volevo dirti che Francesca fa così con tutti!!! | |
Da: ............ | 26/03/2008 20:02:45 |
CONTRO LA DELIBERAZIONE DELL'ASSEMBLEA CONDOMINIALE CONTRARIA ALLA LEGGE, IL CONDOMINO DISSENZIENTE PUO' PROPORRE RICORSO: A ENTRO TRENTA GIORNI DALLA DATA DI CONVOCAZIONE B ENTRO TRENTA GIORNI DALLA DATA DELLA DELIBERAZIONE C ENTRO SESSANTA GIORNI DALLA DATA DELLA DELIBERAZIONE D ENTRO VENTI GIORNI DALLA DATA DI CONVOCAZIONE | |
Da: ciriciao | 26/03/2008 20:11:37 |
1. Nozione di denuncia di inizio attività e collocazione sistematica. La denuncia di inizio attività (d.i.a.) è disciplinata all'art. 19, L. 241/1990, come novellato dalla L. 80/2005. La d.i.a. rappresenta uno strumento di liberalizzazione di determinate attività private, il cui esercizio è riconosciuto senza che sia richiesto un vaglio preventivo della P.A. La d.i.a. nasce storicamente invero non come strumento di semplificazione procedimentale ma come strumento di autentica liberalizzazione di alcune attività private. Alla logica della semplificazione procedimentale risponde infatti il diverso istituto, regolamentato dalla norma immediatamente successiva, del silenzio assenso, che non è strumento di liberalizzazione, ossia strumento che facoltizza l'esercizio di talune attività da parte del privato senza che sussista un preventivo vaglio da parte della P.A., ma che, al contrario è volto, sullâassunto della necessità del vaglio preventivo necessario perché una certa attività possa essere esercitata, a semplificare le modalità di esternazione del suddetto vaglio. Quando unâattività soggiace a silenzio assenso, invero, la stessa non può dirsi liberalizzata, essendo solo regolamentato un meccanismo procedimentale più semplificato di formazione del provvedimento, pure necessario, di esternazione dellâassenso dell'amministrazione. La d.i.a. è, invece, strumento di autentica liberalizzazione essendo storicamente nata per sottrarre certe attività al vaglio preventivo dell'amministrazione. Il meccanismo della d.i.a., difatti, consente di iniziare l'esercizio di alcune attività sulla base di un atto (a natura, secondo i più, privatistica) che il privato formula e presenta all'amministrazione senza attendere un vaglio da parte dell'amministrazione. Difatti, il legislatore prevede che l'amministrazione possa al più esercitare un potere inibitorio dell'attività già iniziata (peraltro entro un termine perentorio), non anche che la stessa possa e debba esprimere un assenso preventivo all'esercizio di quell'attività. Questa è le distinzione concettualmente fondamentale tra la dia ed il silenzio assenso: l'uno è espressione di una tendenza del legislatore a liberalizzare certe attività, l'altro, invece, di un'esigenza di semplificare il procedimento che dev'essere osservato affinché la pubblica amministrazione possa esternare la sua determinazione, ritenuta, tuttavia, ancora necessaria perché il privato possa esercitare una data attività. L'art. 19, L. 241/1990, novellata dalla L. 80/2005, stabilisce, infatti, che gli atti di autorizzazione licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta, il cui rilascio sia subordinato esclusivamente all'accertamento dei requisiti e dei presupposti di legge o di atti amministrativi generali e non siano previsti limiti o contingenti complessivi ovvero l'impiego di strumenti di programmazione settoriale per il relativo rilascio, possano essere sostituiti da una dichiarazione del privato contente le certificazioni e le attestazioni richieste dalla legge. Tale dichiarazione deve essere comunicata alla PA e decorsi trenta giorni dalla comunicazione medesima, il privato può dare inizio all'attività oggetto della dichiarazione. Il privato è inoltre tenuto a dare comunicazione alla PA dell'inizio dell'attività. Alla PA è consentito, nel termine di trenta giorni decorrenti da tale ultima comunicazione, di vietare la prosecuzione dell'attività e ordinarne la rimozione degli effetti, qualora accerti la mancanza dei presupposti fissati dalla legge per il ricorso alla d.i.a. La novella di cui alla L. 80/2005 ha riconosciuto espressamente alla PA il potere di intervenire in autotutela e, in particolare, di esercitare i poteri di revoca e annullamento di cui agli artt. 21 quinquies e nonies. Ha previsto, inoltre, la giurisdizione esclusiva del GA per le controversie in materia di d.i.a. 2. Natura giuridica della d.i.a. Sulla natura giuridica della d.i.a due sono le tesi che si contendono il campo. a) Tesi della natura di atto amministrativo abilitativo tacito. La d.i.a è considerata una fattispecie a formazione successiva, configurabile come un atto amministrativo tacito che si forma in presenza di alcuni presupposti formali e sostanziali e per effetto del decorso del termine assegnato allâamministrazione per esercitare il potere inibitorio. Argomentazioni: - dato letterale dellâart. 19 (prima della sua riscrittura da parte della L. n. 80/2005) nella parte in cui afferma che "lâatto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio attività" (l'espressione è intesa nel senso che la dichiarazione del privato è equiparata ad un atto amministrativo di consenso ed è fonte della legittimazione del soggetto a svolgere lâattività) (T.A.R Veneto, Sez. II, 20 giugno 2003, n. 3405; T.A.R. Veneto,10 settembre 2003,n. 4722; T.A.R. Lombardia, Brescia, 1 giugno 2001, n. 397); - innovazione introdotta dalla L. 80/2005: esercizio da parte della PA di poteri in autotutela (l'attribuzione alla PA del potere di intervenire in autotutela sembra qualificare la d.i.a. come atto amministrativo di primo grado sul quale sono destinati ad incidere i provvedimenti di revoca e annullamento, quali atti di secondo grado) (TAR Abruzzo Pescara 1 settembre 2005, n. 494; TAR Piemonte 19 aprile 2006, n. 1885) Critiche: - è vero che lâart. 19 rinvia agli artt. 21-quinques e nonies, ma è vero anche che lo stesso legislatore del 2005, dopo lâart. 19, continua a disciplinare, al successivo art. 20, il silenzio-assenso; - se la d.i.a. fosse davvero un atto (come taluni minoritariamente ritengono) destinato ad avviare un procedimento che si conclude con provvedimento di accoglimento per silentium, tra Dia e silenzio-assenso sarebbe arduo cogliere una sostanziale differenza. b) Tesi della natura di atto privato. La d.i.a è considerata un atto formalmente e soggettivamente non amministrativo, in quanto non proveniente da una PA. Si afferma che in tal caso non viene in rilievo l'esercizio di una potestà pubblicistica, né un provvedimento amministrativo in forma tacita (cd. silenzio-assenso). Gli unici provvedimenti rinvenibili nella fattispecie sono quelli, meramente eventuali, che la PA può emanare, nel termine di legge, per impedire la prosecuzione dell'attività o per imporre la rimozione degli effetti, ovvero quelli adottati in autotutela anche successivamente alla scadenza di tale termine. Secondo tale tesi, la legittimazione allâesercizio dellâattività non si fonda su un atto di consenso della PA, bensì direttamente nella legge. Argomentazioni: - ratio dell'istituto: introduzione di un regime di liberalizzazione di determinate attività presentanti un minor impatto sugli aspetti pubblicistici (quale per esempio, l'assetto del territorio), con la conseguenza che per l'esercizio delle stesse non è necessaria l'emanazione di un titolo provvedimentale di legittimazione. (Cons. Stato, Sez. IV 3916/2005; TAR Campania-Napoli Sez. III 27 gennaio 2006 n. 1131; T.A.R. Marche, 3 febbraio 2004, n. 58;Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 2002, n. 4453) 3. Intervento del Consiglio di Stato (Cons. Stato 3586/2006) La questione della natura giuridica della d.i.a. è stata affrontata dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. V, 3586/2006), il quale ha aderito alla tesi della natura privatistica della d.i.a. Secondo il Consiglio di Stato: § la novella della L. 80/2005 che attribuisce alla PA un potere di autotutela non vale a mutare la natura della d.i.a., da atto privatistico ad atto pubblicistico; § la L. 80/2005, nel riconoscere espressamente alla PA il potere di autotutela, recepisce l'orientamento giurisprudenziale che ammetteva la sussistenza in capo alla PA di un potere residuale di autotutela; § il potere di autotutela, riconosciuto espressamente dalla L. 80/2005 e ammesso dalla giurisprudenza già prima della novella, è un potere sui generis, caratterizzato dal fatto di non implicare un'attività di secondo grado insistente su un precedente provvedimento amministrativo. 4. Tutela del terzo. La tutela del terzo varia in relazione all'adesione all'una o all'altra tesi sulla natura giuridica della d.i.a. Giova al riguardo premettere una sintetica ricognizione dei poteri spettanti alla P.A. a seguito della presentazione della d.i.a. Il primo potere è quello di inibizione, cioè il potere di disporre la sospensione dellâattività - ovviamente previa valutazione negativa circa la sussistenza dei presupposti di legge per il suo esercizio - ed eventualmente di chiedere al privato, allorché l'attività abbia già prodotto dei risultati, di rimuovere gli effetti. Questo potere si consuma in 30 giorni dalla comunicazione di intervenuto inizio dellâattività, decorsi i quali operano due previsioni: una, interna allâart. 19, L. n. 241/1990, e una esterna. Su un primo versante, vengono in considerazione i poteri di autotutela previsti dagli 21-quinquies e nonies, che, introdotti dalla legge 15 del 2005, sono espressamente richiamati dallâart. 19.. La terza potestà è in realtà desumibile non dallâart. 19 ma dal successivo art. 21, L. n. 241/1990, in forza del quale, tanto nei casi di d.i.a quanto nei casi di silenzio-assenso, residua comunque - anche al di là di quanto il 19 e il 20 prevedano - il potere dell'amministrazione di repressione dei risultati dell'attività realizzata sulla base della d.i.a. o del silenzio assenso. Si pensi, nella materia dell'edilizia, ai poteri repressivi spettanti allâamministrazione che accerti l'intervenuto abuso edilizio. Residua, quindi, in capo all'amministrazione anche un potere repressivo. Ricapitolando, lâamministrazione è titolare di tre distinte potestà: - potere inibitorio, da esercitare tuttavia, pena la sua consumazione, nei 30 giorni dalla comunicazione di inizio dell'attività; - potere di autotutela, da esercitare nel rispetto ed alle condizioni indicate agli artt. 21- quinquies e nonies, L. n. 241/1990, richiamato dallâart. 19; - potere repressivo. a) Tesi della natura di atto amministrativo abilitativo tacito. Tale tesi assimila la d.i.a. ad un provvedimento amministrativo, con la conseguenza che: § il terzo può proporre ricorso giurisdizionale avverso tale provvedimento, seppure tacito, innanzi al GA in sede di giurisdizione esclusiva (art. 19, comma 5 L. 241/1990), chiedendone l'annullamento; Se si segue, quindi, la tesi (minoritaria in giurisprudenza) secondo cui la d.i.a dà luogo ad un atto a rilevanza amministrativa, si deve ritenere che la d.i.a (o quanto meno l'eventuale provvedimento per silentium che ne deriva) sia impugnabile dinanzi al Tar con un normale ricorso impugnatorio. Se così fosse, il problema sarebbe di agevole soluzione: optando per la tesi della natura amministrativa (e non privatistica) della d.i.a., il terzo sarebbe abilitato a sperimentare lâordinaria tutela di tipo impugnatorio Il problema della tutela del terzo nasce, tuttavia, perché la prevalente dottrina e giurisprudenza opta per la tesi che ascrive rilievo privatistico alla denuncia di inizio di attività sul presupposto per cui la stessa è istituto di liberalizzazione e non di semplificazione procedimentale (come il silenzio assenso). Muovendo da questa diversa prospettiva, ed escluso quindi che il privato possa intentare lâordinaria tutela di impugnazione, occorre individuare le forme di tutela del terzo. A questo proposito la giurisprudenza segue tre strade ormai. A) La prima è quella secondo cui il terzo può sostanzialmente esperire un'azione, nel rispetto del termine decadenziale, di accertamento dell'illegittimità del comportamento posto in essere dal privato e, quindi, volta ad ottenere dal giudice una sentenza con cui dia atto della mancanza dei presupposti richiesti dalla legge per l'esercizio di quellâattività. Secondo questa prima impostazione, dopo questa sentenza di accertamento, graverebbe sullâamministrazione lâobbligo di ordinare la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato sulla base di presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti, o meglio in assenza dei presupposti richiesti dalla legge per il relativo esercizio (assenza attestata dalla sentenza del giudice amministrativo). In termini, Tar Liguria, n. 113/2203; Tar Piemonte, n. 1367/2005. Questa tesi presuppone che davanti al GA possa proporsi (ma la questione è piuttosto controversa) un ricorso di mero accertamento, con cui, senza impugnare alcunché, si chiede soltanto un accertamento. B) La seconda tesi è quella fatta propria dalla quarta sezione del Consiglio di Stato con sentenza del 4 settembre 2002, n. 4453, in forza della quale il privato, terzo interessato a che non vada avanti l'attività iniziata sulla base della denuncia, dovrebbe - non potendo proporre un ricorso di mero accertamento - precostituirsi qualcosa da impugnare davanti al GA, stimolando l'esercizio di un potere amministrativo. Secondo questa seconda tesi, il privato dovrebbe stimolare allora lâesercizio (da parte della pubblica amministrazione che ha già consumato il potere di inibitorio, essendo decorsi i 30 giorni di cui al citato art. 19) del potere di autotutela. Decorsi i termini per l'esercizio del potere di autotutela (e quindi oggi decorso il termine legale di 90 giorni di cui all'articolo 2, L. n. 241/1990) il privato dovrebbe impugnare innanzi al GA il silenzio-inadempimento, proponendo un ricorso ai sensi dell'articolo 2 della 241 e, sul versante processuale, del 21-bis della legge 1034 del 1971. Giova, al riguardo, interrogarsi in merito allâammissibilità nel nostro ordinamento di un obbligo dellâAmministrazione di pronunciarsi sulle istanze volte a stimolare il potere di autotutela. Detto meglio câè da chiedersi se sia ipotizzabile, a fronte di una istanza volta a sollecitare lâesercizio di un potere di autotutela decisoria, un silenzio-inadempimento ricorribile innanzi al GA. La giurisprudenza e la dottrina sostengono, al riguardo, in disparte il problema specifico relativa al tema della d.i.a., che la P.A non è vincolata nè nellâan nè nel quomodo allâesercizio del potere di autotutela; concludono, conseguentemente, osservando che non câè un obbligo della P.A. di pronunciarsi, sicché non è ipotizzabile la formazione di un silenzio inadempimento ricorribile innanzi al G.A. se la P.A. nulla dica sullâistanza del privato che, a fronte di un provvedimento amministrativo già adottato, solleciti lâesercizio del potere di riesame. Con riferimento allâipotesi in cui la P.A. ha adottato un provvedimento sfavorevole, non impugnato nel termine decadenziale, la giurisprudenza è fermamente dellâidea secondo cui il privato che non ha impugnato nei termini non può mai ottenere una riammissione in termini stimolando lâesercizio del potere di autotutela e poi impugnando il silenzio inadempimento in cui lâAmministrazione eventualmente sia incorsa. A questo esito la giurisprudenza perviene costantemente evidenziando che, altrimenti opinando, verrebbe compromessa lâesigenza di certezza sottesa alla previsione del termine decadenziale; il privato, che non ha impugnato lâatto nel termine decadenziale, avrebbe infatti gioco facile ad eludere il termine, nonostante la definitività del provvedimento, chiedendo allâAmministrazione di pronunciarsi in autotutela ed eventualmente impugnando il provvedimento sfavorevole o il silenzio. Lâorientamento esposto, volto ad escludere che un provvedimento sfavorevole non impugnato nei termini possa essere ridiscusso mediante la sollecitazione dellâesercizio del potere di autotutela, poggia quindi sullâesigenza a che non sia eluso il termine decadenziale. Tutto ciò vale però quando lâistanza volta a sollecitare il potere di autotutela della P.A. sia stata proposta da un soggetto mai posto in condizioni di impugnare un provvedimento, come è nel caso del terzo a fronte della d.i.a., atto del privato non impugnabile: non può estendersi a questo caso lâorientamento che esclude che un provvedimento sfavorevole non impugnato nei termini possa essere ridiscusso mediante la richiesta volta ad attivare lâesercizio del potere di autotutela. Manca, in tale ipotesi, proprio il provvedimento impugnabile, essendo la d.i.a., nella prospettiva ora in esame, un atto del privato. C) A questa tesi se ne contrappone unâaltra, seguita da Cons. Stato n. 3916/2005. Per entrambe la d.i.a. è un atto del privato non impugnabile dal terzo, lo strumento di tutela utilizzabile dal terzo, esaurito il lasso di tempo ascritto allâamministrazione per lâesercizio del potere inibitorio, è quello di stimolare i poteri che residuano in capo allâA. Ciò che contraddistingue questâulteriore posizione è la natura del potere che il terzo deve stimolare. Secondo la tesi prima esposta il terzo deve sollecitare lâesercizio del potere di autotutela, come noto discrezionale anche nel quomodo, nel cui esercizio la P.A. è chiamata a valutare anche gli interessi configgenti. Al contrario, secondo la tesi in esame e seguita da Cons. Stato n. 3916/2005, il privato deve stimolare lâesercizio del potere repressivo, il terzo dei poteri che residuano in capo allâamministrazione. Anche in questo caso il privato dovrebbe stimolare lâesercizio del potere repressivo, attendere il decorso del termine di cui allâart. 2, L. n. 241/1990, e poi impugnare lâeventuale silenzio-inadempimento. Il discrimen tra le due tesi attiene alle condizioni di esercizio dei due poteri che il privato è chiamato a stimolare; mentre il potere di autotutela, come peraltro emerge dalla stessa lettura del 21-nonies, L. n. 241/1990, e a maggior ragione dellâart. 21- quinquies, è un potere squisitamente discrezionale, lâamministrazione dovendo valutare gli interessi in conflitto, il potere repressivo è un potere vincolato, nel cui esercizio lâamministrazione è chiamata a verificare la sussistenza o meno dei presupposti richiesti dalla legge per lâattività posta in essere dal privato. Sul tema è di recente intervenuto Cons. Stato, sez. V, 22/02/2007, n. 948, con cui, riconosciuta la natura privatistica della d.i.a., si conclude osservando che spetta al terzo stimolare lâesercizio del potere che residua decorso il termine per lâesercizio del potere inibitorio. La sentenza richiama alternativamente (senza prendere quindi posizione) le pronunce del Consiglio di Stato nn. 3916/2005, secondo cui sarebbe da stimolare il potere repressivo, e n. 4453/2002, secondo cui sarebbe da sollecitare, invece, il potere di autotutela. Rassegna giurisprudenziale D.I.A. - Natura giuridica - Titolo abilitativo tacito - T.A.R Veneto, Sez. II, 20 giugno 2003, n. 3405 Il Collegio non ignora lâesistenza di recenti sentenze (cfr. Cons. St. â" Sez. VI n. 4453 del 4.9.2002 e TAR Liguria n. 113 del 22.1.2003) che la qualificano mero atto del privato, che, ancorché soggetto ai poteri preventivi/inibitori della P.A. (oltre che, naturalmente, a quelli successivi/repressivi), non trasmuta in atto autorizzatorio implicito o silenzioso, con la conseguenza che, restando tale (cioè atto privato), non sarebbe soggetto a impugnazione né ad annullamento. Tuttavia non si ritiene, per le ragioni che saranno esposte, di poter aderire a tale prospettazione. Le norme cui fare riferimento sono, principalmente, gli artt. 2, comma 60, della L. 23.12.96 n. 662 e 1 del D.Lg. n. 301 del 27.12.2002. La prima disposizione, dopo aver elencato gli interventi soggetti a D.I.A. ed averne delineato il procedimento, al comma 14 espressamente stabilisce che ânei casi di cui al comma 7, ai fini degli adempimenti necessari per comprovare la sussistenza del titolo abilitante allâeffettuazione delle trasformazioni tengono luogo delle autorizzazioni le copie delle denunce di inizio attività da cui risultino le date di ricevimento delle denunce stesse, nonché lâelenco di quanto prescritto comporre e corredare i progetti delle trasformazioni e le attestazioni dei professionisti abilitatiâ. È la norma stessa a qualificare la D.I.A. come titolo edilizio vero e proprio, in cui, non essendo prevista lâemanazione di alcun provvedimento, la domanda âtien luogoâ dellâ autorizzazione. La D.I.A. quindi, nel disegno della L. 662/96 si comporta allo stesso modo della vecchia autorizzazione tacita: cioè come un titolo che si forma silenziosamente, con il possesso di tutti i requisiti formali e sostanziali prescritti. Questa conclusione resta ulteriormente confortata dalla lettura del D.Lg. 301/2002 che ha sostituito gli artt. 22 e 23 del T.U dellâ edilizia (D.P.R. 6.6.2001 n. 380) ove si ribadisce espressamente (art. 1, comma 5) che âla sussistenza del titolo è provata con la copia della denuncia di inizio attività da cui risulti la data di ricevimento della denuncia, lâelenco di quanto presentato a corredo del progetto, lâattestazione del professionista abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessariâ. Anche le norme più recenti, quindi, non configurano affatto la D.I.A. come unâ attività âprivataâ, bensì come un titolo abilitativo, che proviene dallâAmministrazione, sia pure in forma silenziosa o per inerzia (cioè per non aver esercitato la P.A., nel termine perentorio stabilito dalla legge, il proprio potere inibitorio). Altre chiare disposizioni sostengono la tesi proposta. Invero, il D.Lg. 301/2002 aggiunge i commi 2 bis e 5 bis agli artt. 38 e 39 del T.U., estendendo anche agli interventi realizzati con D.I.A. la disciplina degli interventi edilizi eseguiti in base a âpermesso annullatoâ, il che presuppone, allâevidenza, che la stessa Amministrazione (e il giudice amministrativo) possano annullare il titolo D.I.A.. Agli interventi realizzati con D.I.A. viene estesa altresì la possibilità, come per ogni altro titolo edilizio, di annullamento straordinario da parte della Regione. Se la D.I.A. fosse un mero atto privato, cui la P.A. resta estranea tranne che per - eventualmente - sanzionare successivamente lâattività non conforme alle norme, queste disposizioni sarebbero del tutto prive di logica, in quanto non avrebbe senso prevedere la possibilità di annullamento del titolo (che, secondo la tesi cui il Collegio non aderisce, neppure câè), essendo sufficiente lâintervento successivo/repressivo. D.I.A. - Natura giuridica - Titolo abilitativo tacito - T.A.R. Veneto,10 settembre 2003, n. 4722 La questione circa la natura della D.I.A. è stata oggetto di diverse interpretazioni in ambito giurisprudenziale, interpretazioni che hanno condotto a diverse soluzioni in ordine alla problematica relativa alla impugnabilità o meno di tale atto avanti al giudice amministrativo. È noto al Collegio lâorientamento giurisprudenziale, invocato delle resistenti, secondo il quale la D.I.A. viene qualificata come un mero atto del privato, il quale, nonostante sia soggetto, nel ristretto ambito temporale dei venti giorni stabiliti dalla norma, ai poteri preventivi/inibitori dellâamministrazione (salvi, in ogni caso, quelli successivi/repressivi) non trasmuta in un atto autorizzatorio implicito, insuscettibile, pertanto, di essere soggetto ad annullamento a seguito impugnazione giurisdizionale. Altrettanto nota è la soluzione seguita dal Consiglio di Stato (cfr. Sez. VI, 4.9.2002 n. 4453), il quale, sebbene nellâambito di una controversia particolare, conformemente allâinterpretazione sopra richiamata, non ha ritenuto possibile configurare la D.I.A., o meglio gli effetti derivanti dalla D.I.A., quale provvedimento amministrativo, suscettibile di annullamento nellâambito di un giudizio di tipo impugnatorio. La soluzione prospettata dal Consiglio di Stato è stata quindi quella di ricondurre la fattispecie nellâambito della speciale disciplina introdotta dallâart. 21-bis della L. n. 1034/71, così come modificata dalla L. n. 205/2000, attivando la procedura del silenzio rifiuto, cui può seguire â" fermi restando i principi espressi in merito ai poteri del giudice in occasione della pronunzia della Adunanza Plenaria n. 2/2002 - la declaratoria dellâobbligo dellâamministrazione di provvedere in merito allâistanza del privato. Altre pronunce giurisdizionali (per tutte, cfr. T.A.R. Liguria, Sez. I, 22.1.2003, n.113), pur rilevando nella D.I.A. la natura di atto soggettivamente ed oggettivamente privato, insuscettibile di essere impugnato in sede giurisdizionale, hanno, peraltro, escluso lâapplicabilità del rito del silenzio impugnabile ex art. 21-bis della L. n. 1034/71, ritenendo che la tutela della posizione del terzo a fronte della D.I.A. possa trovare adeguata garanzia mediante lâaccertamento in sede giurisdizionale dellâillegittimità del comportamento dellâamministrazione comunale che, pur nellâinesistenza dei presupposti e dei requisiti fissati dalla legge per il legittimo compimento dei lavori, non ha inibito lâavvio delle opere oggetto della denuncia. Il Collegio, tuttavia, non ritiene di poter aderire alle prospettazioni sin qui richiamate. Appare a questo riguardo utile trarre spunto dalla vigente normativa, partendo dallâart. 2, comma 60 della L. n. 662/96, il quale espressamente stabilisce che nei casi in cui è ammessa la D.I.A. ââai fini degli adempimenti necessari per comprovare la sussistenza del titolo abilitante allâeffettuazione delle trasformazioni tengono luogo delle autorizzazioni le copie delle denunce di inizio attività da cui risultino le date di ricevimento delle denunce stesse, nonché lâelenco di quanto prescritto comporre e corredare i progetti delle trasformazioni e le attestazioni dei professionisti abilitatiâ (comma 14). Se ne deduce, quindi, che la D.I.A, nel disegno della L. n. 662/96, si comporta nello stesso modo della vecchia autorizzazione tacita : cioè come un titolo che si forma silenziosamente, una volta venuti in essere tutti i requisiti formali e sostanziali prescritti. La lettura delle più recenti disposizioni introdotte dal D.LGS. n. 301/02, che ha sostituito gli artt. 22 e 23 del T.U. delle edilizia (D.P.R. n. 380/2001), conferma la suddetta conclusione, laddove espressamente viene ribadito che âla sussistenza del titolo è provata con la copia della denuncia di inizio attività da cui risulti la data di ricevimento della denuncia, lâelenco di quanto presentato a corredo del progetto, lâattestazione del professionista abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessariâ. Significative sono altre disposizioni normative introdotte dal D.LG. n. 301/02 : si vedano, infatti, i commi 2 bis e 5 bis aggiunti agli artt. 38 e 39 del T.U., con i quali è stata estesa anche agli interventi edilizi eseguiti a seguito D.I.A. la disciplina degli interventi edilizi eseguiti in base a âpermesso di costruire annullatoâ (pertanto, anche il titolo D.I.A. può subire lâannullamento da parte dellâamministrazione e, quindi, del giudice amministrativo), nonché la possibilità di annullamento straordinario del titolo da parte della Regione. Non è pertanto possibile concludere nel senso di attribuire alla D.I.A. il carattere di mero atto privato, sul quale la P.A. â" che allo stesso resta estranea â" può eventualmente intervenire in termini sanzionatori nel caso di non conformità dellâattività denunciata alle norme edilizie. Ciò in quanto, diversamente opinando, le norme in esame sarebbero prive di logica, non avendo senso prevedere allo stesso tempo il potere di annullamento del titolo e gli interventi successivi repressivi esercitati dallâAmministrazione. La sola conclusione possibile secondo logica giuridica è quindi che la D.I.A. costituisca un titolo edilizio al pari della concessione e del âpermesso di costruireâ. D.I.A. - Natura giuridica - Titolo abilitativo tacito - T.A.R. Lombardia, Brescia, 1 giugno 2001 n. 397 (...) nel quadro normativo di cui alla denuncia di nuova attività edilizia assume autonomo rilievo provvedimentale ai fini dellâeventuale preclusione dellâaltrimenti normale operatività della D.I.A. non già il parere positivo ancorché formalmente espresso e comunicato dal Responsabile dellâUfficio in ordine alla realizzabilità delle opere ivi indicate, ma esclusivamente lâeventuale formale dissenso espresso da questâultimo nel termine di 20 giorni a tal fine prescritto dallâart. 4 del D.L. 5.10.1993, n. 398, convertito nella L. 4.12.1993, n. 493; (...) in relazione a quanto sopra non può essere riconosciuto al suddetto parere lâeffetto illustrato dal controinteressato, poiché allo scadere del termine perentorio previsto nella ricordata norma, la D.I.A. in questione si è direttamente tradotta nellâimplicita autorizzazione alla realizzazione del manufatto in virtù della valutazione legale tipica stabilita dalla legge rispetto alla quale alcun diverso e pozione valore costitutivo di per sé rappresenta il già ricordato parere. D.I.A. - Natura giuridica - Titolo abilitativo tacito - Poteri di autotutela della PA - TAR Abruzzo Pescara 1 settembre 2005 n. 494 Ritiene sul punto il Collegio che, con riferimento a quanto ex professo oggi previsto dalla normativa vigente, il legislatore abbia in realtà considerato la denunzia di inizio di attività come un atto abilitativo tacito formatosi a seguito della denuncia del privato e della successiva inerzia dellâAmministrazione e su tale provvedimento implicito il Comune può esercitare i propri poteri di autotutela, ed in particolare lâannullamento dâufficio, solo ove ricorrano i presupposti di legge (ragioni di interesse pubblico, termine ragionevole, esame degli interessi del destinatario e dei controinteressati); solo, infine, dopo lâadozione di tali provvedimenti di secondo grado (revoca o annullamento dâufficio) possono poi essere assunti eventuali provvedimenti sanzionatori. Sul punto deve, inoltre, aggiungersi che, dovendo i provvedimenti sanzionatori essere preceduti dallâannullamento (o dalla revoca) di tale provvedimento implicito, il privato non può di certo diffidare lâAmministrazione ad assumere tali provvedimenti di secondo grado, in quanto - come è stato chiarito in giurisprudenza - la Pubblica Amministrazione non ha lâobbligo di pronunciarsi sullâatto di diffida del privato finalizzato alla adozione di un provvedimento di annullamento di ufficio o di revoca, stante lâampia discrezionalità che connota lâesercizio del potere di autotutela (Cons. St, IV, 10 novembre 2003, n. 7136). In estrema sintesi, ritiene il Collegio che con la nuova formulazione del predetto art. 19 il legislatore abbia nella sostanza aderito alla tesi â" peraltro già sostenuta da parte della giurisprudenza (Cons. St., VI, 10 giugno 2003, n. 3265, e 20 ottobre 2004, n. 6910) - che ha qualificato la denuncia in parola come un atto abilitativo tacito. D.I.A. - Natura giuridica - Titolo abilitativo tacito - Poteri di autotutela della PA - TAR Piemonte 19 aprile 2006 n. 1885 Un sintetico accenno alle incertezze che si registrano in materia impone di rammentare come le opinioni giurisprudenziali in ordine alla natura giuridica della d.i.a. oscillino tra due estremi: da una parte, la tesi che qualifica la d.i.a. come istanza autorizzatoria che, per effetto del decorso del tempo, provoca la formazione di un porovvedimento tacito di accoglimento (Cons. Stato, sez. VI, 20 ottobre 2004, n. 6910) e, dalla parte opposta, quella che considera la d.i.a. alla stregua di atto soggettivamente e oggettivamente privato, come tale non impugnabile dinanzi al giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916). Anche aderendo alla seconda delle tesi indicate, comunque, le controversie in materia di d.i.a. risultano riservate alla competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, in quanto la condotta inerte dellâamministrazione che riceve la presentazione della denuncia non costituisce mero comportamento, ma è riconducibile allâambito dei poteri pubblicistici (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. I, 4 maggio 2005, n. 1359). Il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80, ha, poi, devoluto ogni controversia relativa allâapplicazione dei commi 1, 2 e 3 dellâart. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (trattasi delle disposizioni recanti la disciplina generale della d.i.a.) alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ciò premesso, si rammenta come la Sezione, con le sentenze 4 maggio 2005, n. 1359 e 4 maggio 2005, n. 1367, avesse aderito alla tesi che configura la d.i.a. in materia urbanistica quale atto privato, avente il significato sostanziale di una comunicazione rivolta allâamministrazione allo scopo di consentire la verifica della regolarità dellâintervento edificatorio che il denunciante intende intraprendere. Decisiva, in tal senso, era parsa la considerazione della ratio ispiratrice della disciplina normativa, volta alla liberalizzazione delle attività edilizie dei privati con un minor grado di impatto sul territorio (ferma restando la necessità di attivare i poteri inibitori dellâamministrazione laddove lâintervento difetti dei necessari presupposti di legittimità). Ne consegue che la presentazione della d.i.a. e il decorso dello spatium temporis previsto dalla legge non determinavano, secondo le pronunce richiamate, la formazione del silenzio-assenso o, comunque, di un titolo abilitativo tacito allâesecuzione dellâopera. Le novità legislative sopravvenute in materia impongono, però, di rimeditare le acquisizioni suindicate. Si fa riferimento alle modifiche normative introdotte dapprima con la legge 11 febbraio 2005, n. 15 e, poi, con lâart. 3 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80. In primo luogo, si rileva che la disciplina dettata dallâart. 19 della legge n. 241/1990, nel testo sostituito dallâart. 3 del D.L. n. 35/2005, non esclude più la d.i.a. in materia urbanistica, come avveniva nella formulazione originaria del disposto normativo che autolimitava espressamente il proprio ambito di applicazione in relazione alle concessioni edilizie. Se ne deduce, pertanto, che la d.i.a. in materia urbanistica è oggi soggetta alla disciplina generale di cui allâart. 19 della legge n. 241/1990, laddove essa, in forza del principio di specialità, non debba cedere il passo allâapplicazione degli artt. 22 e 23 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. È appena il caso di precisare che il diverso nomen utilizzato dal legislatore per riferirsi ai due istituti (la definitiva versione dellâart. 19 della legge n. 241/1990 è rubricata âdichiarazione di inizio attivitàâ e non più âdenunciaâ) non può essere sintomatico di alcuna diversità sostanziale dei medesimi. Tanto precisato, deve soffermarsi lâattenzione sulla nuova formulazione del comma 3 dellâart. 19 citato che, fra le altre previsioni, stabilisce che âè fatto comunque salvo il potere dellâamministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquiesâ e 21-noniesâ . Le due disposizioni richiamate, introdotte dallâart. 14 della legge n. 15/2005, disciplinano, rispettivamente, la revoca del provvedimento amministrativo ad efficacia durevole e lâannullamento dâufficio del provvedimento illegittimo. Il riferimento espresso agli istituti dellâautotutela decisoria induce, quindi, a ritenere che il legislatore abbia voluto assumere una posizione specifica in ordine alla vexata quaestio della natura giuridica della d.i.a., nel senso che la previsione dellâadottabilità di provvedimenti di secondo grado sottende la qualificazione della d.i.a. (rectius: degli effetti della d.i.a.) come atto abilitativo tacito formatosi a seguito della denuncia del privato e del conseguente comportamento inerte dellâamministrazione (cfr. T.A.R. Abruzzo, Pescara, 1 settembre 2005, n. 494, e 22 settembre 2005, n. 498). Seppure tale interpretazione possa apparire poco coerente con lâoriginaria ratio ispiratrice dellâistituto, essa è comunque imposta dal canone ermeneutico dellâinterpretazione utile, giacché, in caso contrario (vale a dire, escludendo che la d.i.a. determini la formazione di un atto abilitativo tacito), risulterebbe privo di senso il richiamo alle disposizioni che disciplinano il potere di revoca e di annullamento dellâatto inopportuno o illegittimo. Non persuadono, al riguardo, le eccezioni già prospettate in giurisprudenza contro la qualificazione della d.i.a. imposta dalla novella legislativa. Si fa riferimento alla sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 17 ottobre 2005, n. 3819, che sottolinea come lâart. 19 della legge n. 241/1990, dettando la disciplina generale della d.i.a., abbia comunque fatte salve, al comma 4, le discipline di settore, con la conseguenza che, per la d.i.a. nel campo edilizio, dovrebbe aversi esclusivo riguardo alla disciplina dettata dagli artt. 22 e segg.ti del d.P.R. n. 380/2001. Il citato comma 4, però, si riferisce espressamente ai termini per lâinizio dellâattività del privato e per lâadozione dei provvedimenti inibitori da parte dellâamministrazione. Esso non riguarda, pertanto, gli istituti dellâautotutela decisoria per i quali vale, anche in materia urbanistico-edilizia, il richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241/1990. In conclusione, ritiene il Collegio che la novella legislativa abbia modificato, non tanto la natura della d.i.a. - che si configura soggettivamente quale atto del privato e, dal punto di vista oggettivo, costituisce semplice comunicazione indirizzata alla pubblica amministrazione circa lâintendimento di realizzare lâattività di interesse per il denunciante â" ma gli effetti che vi si ricollegano qualora la competente amministrazione non eserciti, nel termine di decadenza previsto dalla legge, i propri poteri inibitori, formandosi, in tal caso, un atto di assenso implicito, oggetto di possibile caducazione in via di autotutela da parte della stessa amministrazione ovvero da parte del giudice adito dal controinteressato. Tali conclusioni trovano conferma nel nuovo disposto dellâart. 21, comma 2-bis, della legge n. 241/1990, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 80/2005, che, riferendosi espressamente alle attività iniziate dal privato ai sensi dellâart. 19, assimila gli effetti della d.i.a. alla fattispecie del silenzio assenso ex art. 20, accomunando le due ipotesi nella categoria degli atti di assenso. D.I.A. - Natura giuridica - Rapporti fra denunciante e PA e fra PA e controinteressati - Tutela del terzo controinteressato - Sollecitazione della PA all'adozione di provvedimenti repressivi - Cons. Stato, Sez. IV 3916/2005 Le tesi che sono state sostenute in tema di natura giuridica della DIA, nella dottrina e nella giurisprudenza soprattutto dei Tribunali amministrativi, oscillano tra due poli opposti : si sostiene, da un lato, che la denuncia di inizio attività sia un mero atto di iniziativa privata che consente solo un intervento di tipo inibitorio, in difetto dei presupposti, della pubblica amministrazione ; dallâaltro, che la denuncia di inizio attività, per effetto del decorso del tempo assegnato allâamministrazione per esercitare il potere inibitorio, dia luogo sostanzialmente a una fattispecie, da taluni definita anche complessa o a formazione successiva, configurabile come titolo abilitativo tacito. Le due tesi, che si presentano variamente articolate al loro interno, comportano rilevanti conseguenze sul piano delle tutele, sia del denunciante nei confronti dellâamministrazione, sia dei terzi contrari allâintervento edilizio, ammettendosi, in via alternativa: lâimmediata impugnativa della denuncia di parte ; lâimpugnazione del silenzio serbato dallâamministrazione sullâistanza e quindi il mancato esercizio del potere inibitorio ; lâimpugnazione del provvedimento tacito che si forma per effetto combinato della denuncia del privato e del mancato esercizio del potere inibitorio da parte dellâamministrazione. Si è giunti anche a ipotizzare, pur dinanzi al giudice amministrativo, unâazione di accertamento con la quale il privato controinteressato contesti al denunciante la realizzabilità dellâintervento edilizio o, quanto meno, la sua assentibilità mediante la procedura della DIA. La prevalente giurisprudenza sembra, invece, sostanzialmente dâaccordo sulla necessità, ai fini dellâadozione dei provvedimenti repressivi, di distinguere tra potere inibitorio e potere sanzionatorio: il primo, esercitabile nel termine previsto dalla legge a pena di decadenza ; il secondo, sovente ricondotto per la DIA in materia edilizia allâarticolo 4 della legge n. 47 del 1985 e, comunque, al più generale potere di ordinare la cessazione dellâattività « in tutti i casi di mancanza originaria o sopravvenuta dei requisiti » (IV, 26 luglio 2004, n. 5323), potere generalmente tenuto distinto dal generale potere di autotutela (da chi nega la formazione di un provvedimento tacito, per mancanza del provvedimento su cui intervenire ; in ogni caso, per il carattere discrezionale dellâannullamento in autotutela). La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto modo di affrontare le varie questioni inevitabilmente in relazione ai casi specifici pervenuti e da angolazioni diverse: IV, 26 luglio 2004 n. 5323, resa in relazione allâapertura di un « centro di trasmissione dati » e con riferimento al problema dellâavvio del procedimento, afferma che in materia di DIA si « prescinde dallâemanazione di un provvedimento amministrativo » ; nei casi di realizzazione di impianti di telefonia cellulare si rinviene un orientamento che qualifica la denuncia di inizio attività corroborata dal decorso del tempo in termini di provvedimento amministrativo tacito (implicitamente, VI, 10 giugno 2003 n. 3265 e, espressamente, VI, n. 6910 del 2004, con considerazioni anche di ordine generale sulla DIA edilizia), mentre, sempre con riferimento agli impianti di telefonia cellulare, VI, 4 settembre 2002 n. 4453 esclude che la DIA abbia valore di provvedimento amministrativo e che il potere repressivo, pur ricondotto allo schema generale dellâautotutela, costituisca attività di secondo grado (tale ricostruzione è sostanzialmente conforme al parere dellâAdunanza generale 6 febbraio 1992 n. 27, sul regolamento di attuazione dellâarticolo 19 della legge n. 241 del 1990 nel testo originario). Ancora, V, 20 gennaio 2003 n. 172 ricollega, senza ulteriori precisazioni, alla DIA, questa volta in materia edilizia, la « formazione di un implicito assenso», mentre, in maniera più articolata e mossa soprattutto da considerazioni attinenti alla tutela dei terzi, VI, 16 marzo 2005 n. 1093 ritiene sufficiente che gli interessati contestino la realizzabilità dellâintervento, confermando peraltro una sentenza di primo grado che â"si badi- aveva dichiarato lâillegittimità del silenzio serbato dal Comune e il suo obbligo di attivare il procedimento repressivo delle opere edilizie. Nessun argomento, per converso, sembra sia possibile ricavare da V, 29 gennaio 2004 n. 308 e 4 febbraio 2004 n. 376, per la peculiarità delle fattispecie ivi considerate e dellâoggetto del decisum. Non è possibile, né conferente, in questa sede ripercorrere in dettaglio le varie tesi, molte delle quali tendenti a enucleare, dal regime giuridico della denuncia di inizio attività, un peculiare regime della DIA edilizia. Probabilmente le incertezze regnanti in materia, che inevitabilmente si ripercuotono sul piano delle tutele, discendono anche da una progressiva trasfigurazione dellâistituto in parola, sorto e naturalmente allocato tra gli strumenti di liberalizzazione delle attività private (che, cioè, presuppongono unâattività non soggetta al regime autorizzatorio), e poi utilizzato come strumento di semplificazione procedimentale inerente, paradossalmente, a procedimenti di natura autorizzatoria : il che ha inevitabilmente portato lâistituto in parola a confondersi con lo strumento del silenzio-assenso o, quanto meno, a frantumarsi in una pluralità di istituti diversi, ciascuno dei quali assoggettato a un regime più o meno peculiare. Ad avviso della Sezione, la soluzione della questione, nei termini rilevanti ai fini di cui è causa, deve tendere, sul piano dellâermeneusi, a privilegiare ipotesi che possano semplificare, in termini di chiarezza, il quadro normativo, assicurando, al contempo, una facile e quindi efficace tutela ai privati, siano essi gli interessati allâintervento edilizio, siano essi i controinteressati allo stesso. Nella ricostruzione del sistema cui dà luogo lâistituto della denuncia di inizio attività â"con riferimento particolare alla materia edilizia e alla normativa vigente anteriormente alle richiamate modifiche legislative dellâistituto in generale, la cui portata innovativa sulla DIA edilizia non rileva nel presente giudizio- è necessario distinguere tra due distinti rapporti: quello tra denunciante e amministrazione e quello che riguarda i controinteressati allâintervento. Tali rapporti, pur attenendo a una medesima vicenda sostanziale, possono essere tenuti distinti sul piano delle tutele, anche in considerazione della diversità dei poteri di cui dispone lâamministrazione. Vero è, invece, che, proprio perché trattasi di situazioni direttamente collegate allâesercizio di un potere pubblicistico dellâamministrazione cui possono contrapporsi interesse legittimi dei vari interessati, le relative controversie rientrano comunque nella giurisdizione del giudice amministrativo (salve le ipotesi di concorrenti azioni tra privati sulla base delle norme del codice civile sui rapporti di vicinato). Nei rapporti tra denunciante e amministrazione, la denuncia di inizio attività si pone come atto di parte, che, pur in assenza di un quadro normativo di vera e propria liberalizzazione dellâattività, consente al privato di intraprendere unâattività in correlazione allâinutile decorso di un termine, cui è legato, a pena di decadenza, il potere dellâamministrazione, correttamente definito inibitorio dellâattività. Sul piano pratico, rileva poco se, in forza di unâinversione procedimentale, la fattispecie dia luogo, con la scadenza del termine, a un titolo abilitativo tacito o al consolidarsi, per volontà legislativa, degli effetti di un atto di iniziativa di parte. Lâinteressato potrà contestare lâesercizio del potere inibitorio, tale qualificato dallâamministrazione, vuoi per motivi formali (decadenza dal termine), vuoi sul piano sostanziale (sussistenza dei requisiti). A tale potere resta estraneo, sul piano normativo della qualificazione degli interessi, colui che si oppone allâintervento, perché la norma sulla denuncia di inizio attività non prende (ancora) formalmente in considerazione la sua posizione, per qualificarla in senso legittimante, ed egli, in definitiva, non può opporsi, in sede di giurisdizione amministrativa, allâattività del privato. Una volta decorso il termine senza lâesercizio del potere inibitorio, e nella persistenza, generalmente ritenuta, del generale potere repressivo degli abusi edilizi, colui che si oppone allâintervento, essendosi consolidata la fattispecie complessa che abilita, ex lege o ex actu non rileva, il privato a costruire, sarà legittimato a chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio, che pertanto non avrà, né potrebbe avere, come riferimento il potere inibitorio dellâamministrazione â"essendo decorso, a tacer dâaltro, il relativo termine, con la conseguenza, sottolineata in dottrina, che il giudice non potrà costringere lâamministrazione a esercitare un potere da cui è decaduta- bensì il generale potere sanzionatorio, salvo poi a stabilire se tale potere abbia carattere vincolato (come ritengono i più) o sia comunque esercitabile alla stregua dei princìpi dellâautotutela (come mostra ritenere VI, n. 4453/02, citata). La tesi esposta, da un lato, consente di attenuare i profili critici di ordine generale cui conduce lâutilizzazione normativa della denuncia di inizio attività in termini di semplificazione procedimentale anzi che di supporto ad attività liberalizzate ; dallâaltro, consente di assicurare la tutela dei terzi in termini ragionevoli con lo strumento del silenzio, secondo uno schema più lineare e quindi semplice, rispetto alle variegate ipotesi cui in pratica possono condurre le altre tesi sin qui prospettate, tutte accomunate dal non irrilevante problema della precisa individuazione dellâoggetto del giudizio, come si evince dalla stessa formulazione dei ricorsi in primo grado. Qualche inconveniente può forse derivare dallo slittamento del tempo in cui il terzo può agire alla scadenza del termine previsto per lâesercizio del potere inibitorio, ma, se anche tale conclusione fosse imposta dalla tesi esposta, essa avrebbe scarsa rilevanza pratica sul piano dellâeffettività, sia per la generale esiguità del termine (entro il quale è difficile completare lâintervento), sia perché comunque lâavvio dellâattività resterebbe a rischio del soggetto procedente. D.I.A. - Natura giuridica - Atto privato - TAR Campania-Napoli Sez. III 27 gennaio 2006 n. 1131 Come è noto, sin dalla sua prima formulazione, dottrina e giurisprudenza hanno fornito due diverse letture della norma. Secondo una tesi, invero minoritaria, la presentazione della dichiarazione di inizio di attività unitamente allâinutile decorso del termine perentorio per lâinibizione dellâattività darebbe luogo ad una fattispecie complessa o a formazione successiva, analoga alla procedura del silenzio assenso ovvero costitutiva di un atto abilitativo tacito. Nei confronti di tale atto, pertanto, sarebbe possibile per il terzo proporre impugnazione dinanzi al giudice amministrativo; esso inoltre potrebbe essere revocato o annullato dalla stessa amministrazione in sede di autotutela in applicazione dei principi generali dellâazione amminsitrativa. Secondo lâaltra tesi, invece, che muove dal presupposto che le attività sottoposte al regime di D.I.A. debbano considerarsi liberalizzate (anche se poi nel tempo lâistituto è stato esteso come, strumento di semplificazione, anche a procedimenti di natura autorizzatoria), non si ravvisa alcun atto autorizzatorio tacito. Lâunico provvedimento amministrativo che può essere rinvenuto nella fattispecie è quello meramente eventuale che lâamministrazione può emanare, entro il termine, per impedire lâavvio della attività oggetto della dichiarazione. La dichiarazione di inizio attività, infatti, è un atto del privato e pertanto essa non è suscettibile di impugnazione da parte del terzo dinanzi al TAR né è possibile lâesercizio da parte della amministrazione dei poteri di autotutela, perché l' attività dell'amministrazione conseguente alla denuncia di inizio attività non consegue ad un provvedimento amministrativo ma ad una dichiarazione del privato cittadino. (Consiglio Stato, sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4453) Inoltre, dopo lâespressa previsione, da parte della l. n. 537 del 1993, art. 2 comma 10, di un termine perentorio per lâesercizio dei poteri inibitori (âentro e non oltre sessanta giorni dalla denunciaâ), la possibilità per la P.A. di ricorrere ai propri poteri di autotutela nel caso in cui lâintervento edilizio realizzato a seguito di D.I.A. fosse difforme dalle prescrizioni urbanistiche era generalmente esclusa perché ritenuta una sostanziale elusione della perentorietà del termine. Lâunica forma di tutela a disposizione del privato che si ritenga leso dal mancato tempestivo esercizio dei poteri inibitori della amministrazione consiste chiedere alla amministrazione di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti per gli abusi edilizi e ricorrere, quindi, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto, che pertanto non avrà, né potrebbe avere ad oggetto il mancato esercizio del potere inibitorio dell'Amministrazione, dal quale lâamministrazione è decaduta essendo decorso il relativo termine, bensì il generale potere repressivo degli abusi edilizi. Il presupposto di questa ricostruzione è dunque che la decadenza dal potere inibitorio non determini comunque una sorta di sanatoria dellâintervento realizzato a seguito di D.I.A. ancorché al di fuori dei presupposti normativi, ma che esso possa continuare ad essere considerato abusivo, cosicché non sarebbe precluso alla amministrazione lâesercizio dei propri poteri sanzionatori. In questo quadro, è intervenuta la novella dellâart. 19 della legge n. 241 del 1990, introdotta dalla legge n. 80 del 14 maggio 2005, che ha espressamente previsto la possibilità per lâamministrazione che sia rimasta inerte dopo la presentazione della D.I.A. di âassumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.â Nonostante lâentrata in vigore di tale innovativa disciplina, il Consiglio di Stato (sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916), dopo aver espressamente dichiarato di non ritenere applicabile, ratione temporis, la normativa sopravvenuta, ha riconfermato la tesi della natura privatistica della D.I.A., puntualizzando che è necessario distinguere tra due distinti rapporti: quello tra denunciante e amministrazione, in cui la DIA si pone come atto di parte, e quello che riguarda i controinteressati all'intervento. Tali rapporti, secondo il Consiglio di Stato, pur essendo attinenti ad una medesima situazione sostanziale, devono essere tenuti distinti sul piano delle tutele, anche in considerazione della diversità dei poteri di cui dispone lâamministrazione. Secondo altra tesi, sostenuta in giurisprudenza dal TAR Pescara ( 1° settembre 2005, n. 494), invece, la norma introdotta dalla legge n. 80 del 2005, nel riconoscere lâesercizio dei poteri di autotutela dopo la presentazione della D.I.A., avrebbe implicitamente ma inequivocabilmente riconosciuto alla D.I.A. natura di atto abilitativo tacito, formatosi a seguito della denuncia del privato e della successiva inerzia della amministrazione. Tale disciplina inoltre sarebbe immediatamente applicabile in quanto essa non avrebbe natura innovativa ma di interpretazione autentica con effetto retroattivo, in quanto sarebbe volta a fornire lâavallo del legislatore alla tesi, già sostenuta in dottrina e giurisprudenza, della natura di atto amministrativo tacito della D.I.A. non seguita dal tempestivo esercizio del potere inibitorio. Secondo il TAR Pescara, quindi, nellâattuale quadro normativo, dovrebbe essere ritenuta ammissibile lâimpugnazione di una D.I.A. da parte del terzo dinanzi al giudice amministrativo. D.I.A. - Natura giuridica - Atto privato - TAR Marche, 3 febbraio 2004, n. 58 Con sentenza 4 febbraio 2003 n. 35 questo Tribunale, confor-mandosi ad un indirizzo giurisprudenziale oramai prevalente (cfr. Cons.St., sez.VI, 4 settembre 2002 n.4453; Tar Liguria, 22 gennaio 2003 n.113; Tar Pescara, 23 gennaio 2003 n.197), ha inteso la denunzia dâinizio dâattività costituire come una dichiarazione del privato cui la legge, in presenza di specifiche condizioni, ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire ed è ad esso sostitutiva, ma le ha negato il carattere del provvedimento amministrativo, in quanto: non promana da una pubblica amministrazione che ne è la destinataria, non costituisce esercizio di una potestà pubblicistica, né dà origine ad un provvedimento amministrativo in forma tacita (silenzio-assenso). La presentazione della denunzia si risolve in un esercizio di auto-amministrazione, essendo venuta meno lâesigenza di acquisire un titolo finale. La legge dispone una specie dâinversione dellâiter procedimentale. La domanda del privato è già produttiva dâeffetti (decorso il termine di trenta giorni dalla sua presentazione), legittima ex se lâavvio dellâattività, mentre la fase istruttoria e di controllo è successiva e lâarresto dellâattività e la rimozione dei suoi effetti, con atto questo sì di natura provvedimentale, è eventuale. In difetto di un potere amministrativo costitutivo-accrescitivo e di un qualsivoglia potere autorizzatorio, non hanno nella specie natura provvedimentale: a.- la denunzia di inizio dâattività edilizia (...). D.I.A. - Natura giuridica - Atto privato - Poteri di autotutela della PA - Potere sanzionatorio della PA - Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 2002, n. 4453 Va, in proposito, innanzitutto ricordato che l'indirizzo giurisprudenziale che esclude la possibilità di far ricorso alla procedura di silenzio rifiuto allo scopo di provocare il ricorso dell'Amministrazione all'autotutela trova il proprio fondamento nell'esigenza di evitare, attraverso di essa, il superamento della regola della necessaria impugnazione dell'atto amministrativo nel termine di decadenza. Appare evidente, infatti, che, ove dovesse ritenersi possibile il ricorso al silenzio rifiuto ai fini dell'esercizio del potere di annullamento in sede di autotutela da parte dell'Amministrazione nei confronti di un provvedimento non tempestivamente impugnato dal privato interessato, potrebbe essere facilmente elusa la regola che richiede l'impugnazione del provvedimento da parte di chi sia da esso leso nei termini di decadenza; più precisamente, sarebbe proprio il provvedimento di annullamento in sede di autotutela del precedente provvedimento, non tempestivamente impugnato dall'interessato, adottato a seguito del silenzio rifiuto, a provocare l'elusione sopra indicata. L'indirizzo giurisprudenziale sopra ricordato suppone, quindi, una sequenza procedimentale in cui sussista un provvedimento non impugnato, e l'intrapresa della procedura del silenzio rifiuto allo scopo di provocare l'adozione di un secondo provvedimento, volto a mettere nel nulla quello non tempestivamente impugnato. Una situazione del genere non appare configurabile con riferimento alla denuncia di inizio di attività privata, ed alla successiva attività dell'amministrazione. Da una parte, infatti, la denuncia di inizio di attività non ha valore di provvedimento amministrativo, né lo acquista in virtù del decorso del termine previsto per l'attività di riscontro della pubblica amministrazione; dall'altra, quest'ultima non è un'attività di secondo grado, che interviene su di una precedente attività provvedimentale. Non potrebbe, pertanto, verificarsi, con riferimento all'attività dell'amministrazione successiva alla denuncia di inizio dell'attività da parte del privato, quel fenomeno di elusione del termine decadenziale per l'impugnazione, che l'indirizzo giurisprudenziale, che esclude la possibilità di ricorrere al silenzio rifiuto per provocare l'esercizio dell'autotutela, intende, appunto, evitare. Alla stregua di quanto sopra esposto appare, pertanto, evidente che, con riferimento alla fattispecie in esame, il richiamo al sopra riferito indirizzo giurisprudenziale non è utile al fine di escludere l'esperibilità della procedura di silenzio rifiuto. Quella dell'Amministrazione, successiva alla denuncia di inizio dell'attività è, infatti, nello schema dell'art.19 della legge n.241 del 1990 (e ciò sia anteriormente che successivamente alle modifiche introdotte con la legge n.537 del 1973) un'attività discrezionale, e per tale ragione essa è stata ricondotta al più generale potere di intervento successivo dell'Amministrazione ed al quadro dell'autotutela (Ad. Gen., 6 febbraio 1992 n.27); essa però, non implica un'attività di secondo grado su di un precedente provvedimento, proprio perchè, nella schema teorico dell'art.19 della legge n.241 del 1990, l'intervento dell'Amministrazione non è successivo ad un provvedimento amministrativo, ma ad una dichiarazione del privato cittadino. (...) L'art. 21, comma 2 della legge n. 241 prevede, (...), che le sanzioni previste in caso di svolgimento dell'attività in carenza dell'atto di assenso dell'amministrazione o in difformità di esso si applichino anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all'attività ai sensi dell'art.19 (e 20) in mancanza dei requisiti richiesti od in contrasto con la normativa vigente. L'art. 21 prevede, pertanto, un potere sanzionatorio dell'Amministrazione che, in quanto tale, non ha nulla a che fare con l'autotutela e con il relativo regime. D.I.A. - Natura giuridica - Atto privato - Poteri di autotutela della PA - Cons. Stato, Sez. V, 3586/2006 Al fine di poter meglio delibare la fondatezza o meno di tale eccezione di inammissibilità, appare utile fare qualche breve cenno in ordine alla questione della natura giuridica della dichiarazione di inizio di attività, al centro di un annoso dibattito in dottrina ed in giurisprudenza, dibattito non ancora sopito e che ha ricevuto di recente nuova linfa a seguito dellâentrata in vigore della L. n. 80/2005. Le tesi che si contendono il campo sono essenzialmente due. Secondo una prima opzione ermeneutica la dichiarazione di inizio di attività si configura come un atto di iniziativa privata e la legittimazione allâesercizio dellâattività non è fondata su un atto di consenso della P.A., ma trova la propria fonte direttamente nella legge. Secondo un altro orientamento, invece, la DIA costituirebbe una fattispecie complessa o a formazione successiva, che vede un atto amministrativo tacito formarsi in presenza di alcuni presupposti formali e sostanziali e per effetto del decorso del tempo assegnato allâamministrazione per lâesercizio del potere inibitorio. Aderire allâuno o allâaltro indirizzo interpretativo comporta alcune rilevanti conseguenze in punto di tutela per il terzo danneggiato dallâintervento edilizio. Muta, in particolare, lâoggetto del giudizio. La giurisprudenza, alquanto divisa sul punto, ha, invero, individuato lâoggetto del giudizio di impugnazione ora direttamente nella DIA, ora nel comportamento inerte tenuto dallâamministrazione dopo la presentazione della dichiarazione, ora nel silenzio sulla richiesta di intervento in autotutela, ora nel silenzio sulla richiesta di esercizio del potere sanzionatorio. Il problema si pone in quanto, se si considera la DIA un atto privato, allora ne è inammissibile la diretta impugnazione in sede giurisdizionale e la tutela del terzo passa attraverso la sollecitazione del potere (sanzionatorio o di autotutela) dellâamministrazione e, in caso di inerzia, dallâimpugnazione del silenzio secondo il rito di cui allâart. 21-bis L. n. 1034/1971 (cfr. Cons. St., sez. IV, 4 settembre 2002, n. 4453), oppure dallâaccertamento in sede giurisdizionale dellâillegittimità del comportamento dellâamministrazione che, pur nellâinesistenza dei presupposti e dei requisiti fissati dalla legge per il legittimo compimento dei lavori, non ha inibito lâavvio delle opere oggetto della denunzia Se, invece, si attribuisce alla DIA il valore di provvedimento, allora non vi sono ostacoli alla sua impugnativa: alcune pronunce configurano, infatti, la DIA come istanza idonea ad originare un provvedimento per silentium della p.a. che nei trenta giorni successivi alla sua presentazione non inibisca lâinizio dei lavori, ritenendo ammissibile il ricorso del terzo danneggiato avverso lâatto di assenso tacito dellâamministrazione. Questâultima opzione ha registrato consenso in qualche decisione, di questo Consiglio che qualifica la DIA, unitamente al decorso del tempo, in termini di provvedimento amministrativo (cfr. Cons. St., sez. VI, 10 giugno 2003, n. 356). Tuttavia, lâorientamento prevalente di questo Consiglio è per la tesi della DIA come atto privato (cfr. Cons. St., sez. IV, 4 settembre 2002, n. 4453 ; id., 22 luglio 2005, n. 3916). La tesi che configura la DIA come un atto abilitativo tacito, formatosi a seguito della denunzia del privato e della successiva inerzia dellâamministrazione sembrerebbe oggi avere al suo arco una nuova freccia, costituita dalla espressa previsione, contenuta nellâart. 19, comma 3, l. 7 agosto 1990 n. 241, nel testo stabilito dallâart. 3, comma 1, d.l. 14 marzo 2005 n. 35, conv. nella l. 14 maggio 2005 n. 80, del residuare in capo alla P.A. del potere di autotutela. Non pare, tuttavia, che questa novità normativa possa ritenersi decisiva, in quanto, già prima della citata L. n. 80/2005 la giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. IV, dec. n. 4453 del 2002 cit.) affermava che, successivamente alla proposizione della denunzia di inizio di attività, residua comunque in capo alla P.A. il potere di autotutela, sia pure sui generis in quanto caratterizzato dal fatto di non implicare unâattività di secondo grado su di un precedente provvedimento amministrativo; il riferimento allâautotutela può, quindi, spiegarsi anche restando nei confini della linea interpretativa secondo cui la DIA è un atto del privato: si tratterà, appunto, di unâautotutela sui generis poiché non andrà ad incidere su un atto amministrativo, ma consisterà nella possibilità per la P.A. di adottare, successivamente alla scadenza del termine di trenta giorni dalla comunicazione di avvio dellâattività, provvedimenti di divieto di prosecuzione della stessa e di rimozione dei suoi effetti, condizionata, però, dalla sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto, ulteriore e diverso rispetto a quello volto al mero ripristino della legalità violata. D.I.A. - Natura giuridica - Atto privato - Tutela del terzo - TAR Abruzzo, 23 gennaio 2003, n. 197 - TAR Abruzzo 11 marzo 2004, n. 267 Invero, la liberalizzazione dellâaccesso alle attività edilizie cui si applica lâistituto della âdenuncia inizio attivitàâ non significa, ad avviso del Collegio, che lâAutorità comunale è esonerata dal riscontrare se siano presenti tutte, o meno, le condizioni stabilite per procedere in base alla c.d. d.i.a., né che il riscontro possa essere effettuato a campione o soltanto su impulso della parte interessata; lâistituto in parola ha, evidentemente, lo scopo di snellire lâattività amministrativa e di alleggerire la posizione del privato onde consentirgli di espletare determinate attività senza lâintermediazione di un provvedimento amministrativo, purchè ricorrano tutte le condizioni legislativamente stabilite, ma non può avere lo scopo, da una parte, di esonerare dallâattività di controllo le amministrazioni pubbliche preposte alla cura dei relativi interessi pubblici, e, dallâaltra, di consentire ai privati di espletare quelle attività in assenza delle condizioni prescritte per giovarsi dellâistituto in discorso. Se, dunque, lâistituto della c.d. d.i.a. è volto a semplificare lâattività delle due parti dirette del rapporto, da una parte lâAmministrazione pubblica e dallâaltra il soggetto privato che intenda intraprendere quelle attività cui lâistituto stesso è applicabile, non sembra sostenibile, ad avviso del Collegio, che lâutilizzo di tale istituto possa, invece, appesantire la posizione del soggetto terzo il quale, essendo titolare di una situazione soggettiva di controinteresse rispetto al soggetto che si giovi della c.d. d.i.a., onde tutelarsi in sede giurisdizionale debba previamente diffidare lâAmministrazione a che proceda a verifica della stessa d.i.a. e quindi, allâesito, esperire le azioni a difesa dei propri interessi o diritti. Più semplicemente, ad avviso del Collegio, appare esperibile da parte del terzo unâazione diretta a provocare in sede di giurisdizione esclusiva, secondo i motivi dedotti, un sindacato da parte del giudice in ordine alla corrispondenza, o meno, di quanto dichiarato dallâinteressato e di quanto previsto dal relativo progetto rispetto ai canoni normativi stabiliti per la realizzazione dellâattività edilizia in questione. D.I.A.- Natura giuridica-Tutela del terzo- Cons. Stato, Sez.. V - 22 febbraio 2007, n. 948 (in www.neldiritto.it) La questione centrale della presente controversia attiene, dunque, al problema della esperibilità dei rimedi da parte del soggetto che si ritenga leso da una d.i.a.. A tale proposito, la giurisprudenza, dopo iniziali oscillazioni, sembra pervenuta ad un assetto definitivo, secondo il quale lâunico rimedio esperibile da parte del soggetto che si ritenga leso da una d.i.a. nei riguardi della quale lâAmministrazione non abbia esercitato alcuna potestà repressiva, consiste nel rivolgere formale istanza allâAmministrazione e nellâimpugnare lâeventuale silenzio-rifiuto su di essa formatosi (cfr. Cons. St., sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4453). La conferma di tale orientamento si ha in una recente decisione di questo Consiglio (cfr. Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916). Secondo tale orientamento - che la Sezione ritiene di dover condividere, non sussistendo valide ragioni per discostarsene - nella ricostruzione del sistema cui dà luogo lâistituto della denuncia di inizio attività - con riferimento particolare alla materia edilizia e alla normativa vigente anteriormente alle richiamate modifiche legislative dellâistituto in generale, la cui portata innovativa sulla DIA edilizia non rileva nel presente giudizio - è necessario distinguere tra due distinti rapporti: quello tra denunciante e amministrazione e quello che riguarda i controinteressati allâintervento. Tali rapporti, pur attenendo a una medesima vicenda sostanziale, possono essere tenuti distinti sul piano delle tutele, anche in considerazione della diversità dei poteri di cui dispone lâamministrazione. Vero è, invece, che, proprio perché trattasi di situazioni direttamente collegate allâesercizio di un potere pubblicistico dellâamministrazione cui possono contrapporsi interessi legittimi dei vari interessati, le relative controversie rientrano comunque nella giurisdizione del giudice amministrativo (salve le ipotesi di concorrenti azioni tra privati sulla base delle norme del codice civile sui rapporti di vicinato). Nei rapporti tra denunciante e amministrazione, la denuncia di inizio attività si pone come atto di parte, che, pur in assenza di un quadro normativo di vera e propria liberalizzazione dellâattività, consente al privato di intraprendere unâattività in correlazione allâinutile decorso di un termine, cui è legato, a pena di decadenza, il potere dellâamministrazione, correttamente definito inibitorio dellâattività. Sul piano pratico, rileva poco se, in forza di unâinversione procedimentale, la fattispecie dia luogo, con la scadenza del termine, a un titolo abilitativo tacito o al consolidarsi, per volontà legislativa, degli effetti di un atto di iniziativa di parte. Lâinteressato potrà contestare lâesercizio del potere inibitorio, tale qualificato dallâamministrazione, vuoi per motivi formali (decadenza dal termine), vuoi sul piano sostanziale (sussistenza dei requisiti). A tale potere resta estraneo, sul piano normativo della qualificazione degli interessi, colui che si oppone allâintervento, perché la norma sulla denuncia di inizio attività non prende (ancora) formalmente in considerazione la sua posizione, per qualificarla in senso legittimante, ed egli, in definitiva, non può opporsi, in sede di giurisdizione amministrativa, allâattività del privato. Una volta decorso il termine senza lâesercizio del potere inibitorio, e nella persistenza, generalmente ritenuta, del generale potere repressivo degli abusi edilizi, colui che si oppone allâintervento, essendosi consolidata la fattispecie complessa che abilita, ex lege o ex actu non rileva, il privato a costruire, sarà legittimato a chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio, che pertanto non avrà, né potrebbe avere, come riferimento il potere inibitorio dellâamministrazione - essendo decorso, a tacer dâaltro, il relativo termine, con la conseguenza, sottolineata in dottrina, che il giudice non potrà costringere lâamministrazione a esercitare un potere da cui è decaduta - bensì il generale potere sanzionatorio, salvo poi a stabilire se tale potere abbia carattere vincolato (come ritengono i più) o sia comunque esercitabile alla stregua dei princìpi dellâautotutela (come mostra di ritenere Cons. St., sez. VI, n. 4453/02, cit.). La tesi esposta, da un lato, consente di attenuare i profili critici di ordine generale cui conduce lâutilizzazione normativa della denuncia di inizio attività in termini di semplificazione procedimentale anzi che di supporto ad attività liberalizzate; dallâaltro, consente di assicurare la tutela dei terzi in termini ragionevoli con lo strumento del silenzio, secondo uno schema più lineare e quindi semplice, rispetto alle variegate ipotesi cui in pratica possono condurre le altre tesi sin qui prospettate, tutte accomunate dal non irrilevante problema della precisa individuazione dellâoggetto del giudizio, come si evince dallo stesso tenore della sentenza impugnata, dal momento che il Tribunale ha, comunque, sindacato la legittimità d.i.a., ancorché quale mero presupposto per il rilascio della autorizzazione commerciale, trasformando la domanda di annullamento della d.i.a., quale espressamente proposta dalla società ricorrente, in una domanda di accertamento dei presupposti necessari al rilascio dellâautorizzazione commerciale. Non possono essere condivise, per quanto dianzi argomentato, né la tesi per cui oggetto dellâimpugnativa siano gli effetti della DIA (tesi, sia pure non con assoluta linearità, sostenuta dal primo giudice), né la tesi che configura la DIA come un provvedimento tacito. Alla luce di quanto sin qui esposto, ne consegue che la società ricorrente in primo grado, come fondatamente dedotto dagli appellanti, avrebbe dovuto, per tutelare in sede giurisdizionale i propri interessi asseritamene lesi dalla presentazione della d.i.a. in questione, diffidare il Comune di Porto Azzurro a procedere alla verifica della legittimità dellâattività denunciata attraverso lâesercizio dei poteri inibitori/repressivi ad esso spettanti in materia, per poi impugnare lâeventuale silenzio serbato dallâAmministrazione comunale o, se del caso, il provvedimento espresso adottato dalla stessa allâesito dellâavvenuta verifica. La ricostruzione del sistema nei termini pocâanzi prospettati esclude in radice che tali atti possano assumere valore provvedimentale, in quanto il principio di legalità e di conseguente tipicità dei provvedimenti amministrativi esclude che possano essere inseriti nella sequenza procedimentale provvedimenti non espressione di poteri tipici previsti dalla legge. Ai fini, dunque, delle modalità di contestazione della realizzabilità dellâintervento da parte del terzo non rileva che lâintervento medesimo sia escluso in radice dalla normativa urbanistica o che lo stesso non potesse ritualmente essere avviato tramite DIA: in entrambe le ipotesi, occorre che il terzo stimoli il potere repressivo dellâamministrazione, diverse potendo essere solo le conseguenze che derivino dallâaccoglimento dellâasserito motivo di illegittimità. In definitiva, nel caso in esame, come fondatamente dedotto dagli appellanti, lâimpugnazione originaria è da considerare inammissibile, sicché il TAR sarebbe dovuto prevenire alla conclusione della inoppugnabilità della d.i.a. edilizia e, perciò, della sua persistente idoneità a mutare la destinazione dâuso del locale da garage a fondo commerciale, dichiarando inammissibili tutte le domande e le censure nei riguardi di essa proposte, ivi comprese quelle - rimaste assorbite in prime cure - riproposte nel presente grado di giudizio attraverso lâappello incidentale dalla Unicoop Tirreno. | |
Da: ciriciao | 26/03/2008 20:13:08 |
cara claudia è vero ho fatto copia incolla, ma ti consiglio di prestare attenzione...è tratto dal testo di garofoli, nn so se conosci...ebbene....è ottimo per magistratura...spero di essere utile cmq | |
Da: ciriciao | 26/03/2008 20:14:14 |
per........... la risp esatta forse è la b.... | |
Da: Claudia | 26/03/2008 21:19:30 |
Grazie ciriciao | |
Da: daddy | 26/03/2008 21:46:01 |
si è la b. | |