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La "superficialità" di alcuni concorsi
9 messaggi
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Da: Maria27/12/2006 13:47:36
Qualcuno di voi ha sostenuto il colloquio per l'ENEA?
Non vi ha sorpreso sentirvi porre domande specifiche di cultura scientifica e di diritto amministrativo quando nel bando si parla di colloquio così genericamente definito :
1. un colloquio tendente ad accertare il possesso dei requisiti professionali, culturali e attitudinali richiesti dalla posizione concorsuale dâinteresse;
2. una verifica pratica tesa ad accertare il grado di conoscenza, da parte del candidato, dei più diffusi programmi informatici, con particolare riguardo ai software applicativi gestionali riferiti alle risorse umane, alla contabilità e al protocollo in coerenza alle mansioni descritte nella posizione per la quale si concorre.

Soprattutto, non vi sembra strano che di questi tempi un concorso   per un posto a tempo indeterminato (ma ora ne sono diventati anche di più) non preveda alcuna prova scritta?

E poi, non vi è sembrato strano che le domande erano poste a discrezione della commissione senza prevedere nemmeno un sorteggio?

In che modo potrei dimostrare di aver risposto adeguatamente alle domande che mi sono state poste dalla commissione? 

Quali strumenti ha il corsista per difendersi da tutta questa "superficialità" ?

Mi fermo qui, almeno per ora.
Maria


Da: Stenale27/12/2006 23:31:38
In che modo potrei dimostrare di aver risposto adeguatamente alle domande che mi sono state poste dalla commissione? 

ADR. Nessuno

Quali strumenti ha il corsista per difendersi da tutta questa "superficialità" ?

ADR. Nessuno

Purtroppo l'orale investe la discrezionalità della commissione che non può essere sindacata nemmeno dal giudice amministrativo (salvo che sia carente la motivazione del giudizio anche se parte della giurisprudenza ritiene motivato anche il solo voto).

Da: antonio28/12/2006 19:48:03
lo so caro amico a volte ho l'impressione che stiamo a studiare per niente.

Da: Maria29/12/2006 17:58:03
Le mie, infatti, erano domande retoriche.

La questione è: come è possibile che continuiamo a studiare in attesa di inciampare nel concorso 'pulito'. Ma anche quando siamo fortunati e  capitiamo nel concorso giusto, siamo in troppi a competere. Troppi!

Inoltre, la mia impressione è che spessissimo le conoscenze e le competenze di chi concorre sono molto più alte di quelle necessarie al posto in concorso. Ma, d'altra parte è necessario creare dei criteri di selezione, perchè la competizione è troppo forte.
Allora succede che nei concorsi più ambiti, i quiz preselettivi richiedono una preparazione in diritto amministrativo, europeo etc. etc. assolutamente inutile al lavoro che si andrà a svolgere.

Tra qualche anno forse un pò di richiambio nella pubblica amministrastione ci sarà. Ma avremo gente preparatissima e frustrata che farà il portiere, il bidello, o nella migliore delle ipotesi, l'istruttore amministrativo di qualche Comune.

Questo modo del lavoro è malato e forse ci stiamo ammalando anche noi.


Da: ..?29/12/2006 18:07:58
ma cosa dici mai?
i concorsi sono tutti puliti.
Io ne sono la dimostrazione, l'ho vinto senza raccomandazioni, e quindi... le raccomandazioni non esistono!!!!!!!

Da: gio30/12/2006 10:00:44
basterebbe mandare a casa un discreto numero di attuali dipendenti pubblici assolutamente incapaci per poter: a) pagare meglio quelli che restano b) assumerne di meritevoli.
Tuttavia quando qualcuno fa la proposta (vedi il prof. Ichino nei suoi articoli sul corriere) quelli contrari (sindacati) si fanno sentire starnazzando i soliti luoghi comuni.
Quelli favorevoli stanno, come sempre, zitti. Quindi la classe politica che dovrebbe decidere ritiene che agli italiani vada bene così.....

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Da: Stenale30/12/2006 10:31:12
A PROPOSITO DI ICHINO
QUESTO è L'ARTICOLO SOTTO c'è il commento di un dirigente ex sspa
L'ipocrisia del concorso
Per reclutare servono strumenti nuovi
di Piero Ichino
Corriere della Sera 21 novembre 2006


Sul Corriere del 14 novembre Francesco Giavazzi ha indicato nlle «regole di reclutamento» attuali uno dei quattro difetti fondamentali del nostro sistema universitario. Lo stesso potrebbe dirsi in riferimento all'intera nostra amministrazione pubblica. Ma è un discorso difficile, perché porta a mettere in discussione niente meno che una regola contenuta nella Costituzione (articolo 97): «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso». Il concorso dovrebbe garantire la scelta imparziale della persona migliore tra le disponibili. Ma l'esperienza insegna che nella maggior parte dei casi le cose non vanno affatto così; al punto che molti esperti considerano il metodo del concorso come un ostacolo alla scelta migliore. Il problema â" va subito chiarito â" non è costituito soltanto dalla frequenza con cui accade che l'esito del concorso sia inquinato da clientelismi baronali, politici, sindacali o di altro genere. Il fatto su cui occorre riflettere è che il concorso si rivela come un metodo cattivo di scelta anche quando esso si svolge rigorosamente secondo le regole. In primo luogo perché l'idoneità di una persona a un determinato ruolo dipende per lo più da un insieme di qualità e attitudini molto più complesso di quanto si possa accertare e verbalizzare con una procedura concorsuale: questo vale per tutte le figure professionali, dal docente al giovane ricercatore, dal dirigente al fattorino. Quand'anche, poi, le prove concorsuali consentissero di accertare le qualità che veramente contano per la funzione specifica, resterebbe il fatto che la commissione giudicatrice non risponde per nulla della bontà della scelta. Svolto il compito, essa si scioglie; e se il vincitore si rivelerà inidoneo al ruolo, nessuno ne chiederà mai conto ai commissari. Il metodo del concorso è legato all'idea ottocentesca dell'amministrazione pubblica come luogo dove i comportamenti sono soggetti al controllo ex ante di legittimità, ma non al controllo ex post dei risultati prodotti. Oggi sperimentiamo che questo sistema non soltanto non garantisce il risultato ex post, ma di fatto non riesce a garantire neppure un tasso accettabile di legittimità sostanziale, sotto la scorza della (apparente) legittimità formale. Sono davvero pochissimi i concorsi nei quali non vi sia un vincitore designato ben conoscibile già prima del bando. E in qualche caso â" occorre dirlo â" non è neppure male che le cose vadano così. Ma allora non sarebbe meglio, là dove è possibile attivare un sistema di controllo rigoroso dei risultati, abbandonare questo ferro vecchio, eredità di un sistema amministrativo superato? Così, almeno, chi continuerà a praticare il clientelismo baronale, politico o sindacale, rischierà lo stipendio. Per esempio: pensiamo a un sistema universitario nel quale sia abolito il valore legale della laurea (dove cioè siano abrogate tutte le norme che richiedono quel titolo di studio per accedere a qualsivoglia posto, funzione o beneficio) e nel quale lo Stato non finanzi direttamente gli atenei, ma dia a ogni diciottenne l'80% del necessario per l'iscrizione a una facoltà universitaria liberamente scelta, a suo rischio. A quel punto potremmo lasciare altrettanto libera ogni facoltà di assumere il personale docente e amministrativo secondo le procedure che essa preferisce: se sceglierà male, gli studenti andranno altrove ed essa dovrà chiudere. Forse, paradossalmente, sarà la prima volta che vedremo dei concorsi veri: magari con minor dispendio di verbali e ceralacca, ma con un impegno sostanziale assai maggiore a selezionare le persone più capaci e più adatte, rispetto alle specifiche esigenze effettive.




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Gentile prof. Ichino,
ho letto con vivo interesse il suo editoriale sul Corriere della Sera del 21 novembre dal titolo âLâipocrisia del concorsoâ.
Condivido in pieno il suo argomento secondo cui âil metodo del concorso è un ostacolo alla scelta miglioreâ e anzi, vorrei sottoporre alla sua attenzione una proposta ancora più audace: perché non aboliamo anche le elezioni?
Consentirà che anche le elezioni democratiche, come i concorsi pubblici si sono rivelate âun metodo cattivo di scelta, anche quando si svolge secondo le regoleâ e che (almeno in Italia) esse hanno miseramente fallito nellâobbiettivo di assicurare la selezione di una classe politica competente ed onesta, nonché di garantirne il ricambio.
Quali le alternative possibili? Si potrebbe provare con lâestrazione a sorte, ad esempio. Lei certo conosce quel racconto di J.L. Borges, âLa lotteria di Babiloniaâ nel quale il grande scrittore argentino immagina un luogo ove il destino di ciascuno sia determinato da una lotteria, gestita da una Compagnia dotata dei pieni poteri pubblici.
Oppure, se lâidea appare troppo azzardata e innovativa, si potrebbe sempre tornare a istituti sperimentati, come lâaristocrazia e lâereditarietà delle cariche. Alessandro, Cesare, Federico il Grande, non vinsero pubblici concorsi o elezioni; e molte dinastie hanno reso servizi egregi alle nazioni che hanno governato.

Sto scherzando, naturalmente, ma non troppo. Cerco solo di portare alle estreme conseguenze il suo ragionamento. Perché, vede, tra elezioni e concorsi esiste una stretta parentela.

Il sistema dei concorsi, di derivazione cinese, fu introdotto in Europa, alla fine dellâAncien Regime, quando si trattò di passare dallâaristocrazia alla democrazia, dal sistema delle cariche pubbliche assegnate per via ereditaria o venalmente (cioè vendute per denaro) a uno in cui ci fosse separazione netta tra interessi privati e pubblici.

Lungi dallâessere semplicemente, come lei scrive âun ferrovecchio, eredità di un sistema amministrativo superatoâ, i concorsi sono, assieme alle elezioni, lo strumento che le moderne democrazie occidentali si son date per selezionare le proprie classi dirigenti nel più ampio ventaglio possibile di candidati.
Le elezioni selezionano la dirigenza politica secondo il principio della rappresentatività, i concorsi selezionano la dirigenza amministrativa secondo il principio della competenza.

Possiamo liquidare elezioni e concorsi come ferrivecchi, dunque, ma avendo ben presente che si tratta dei capisaldi della democrazia - che rimane, secondo il celebre detto di Winston Churchill, âil peggiore dei sistemi politici ad eccezione di tutti gli altriâ.

Lei naturalmente è padronissimo di immaginare âstrumenti nuoviâ. Io, dal canto mio, mi accontenterei che funzionassero bene, anche in Italia, quelli che assicurano, in tutte le altre democrazie occidentali, la selezione di classi politiche ed amministrative di alto profilo.

Gentile professore, la seguo con interesse dal suo libro âA che serve il sindacato?â â" anchâio faccio attività sindacale, per la Cida-Unadis. La descrizione di un mondo che lei conosce bene era estremamente istruttiva.
Ma, da quando batte il terreno della Pubblica Amministrazione, trovo che lei parli per consolidato pregiudizio, più che per cognizione di causa. Naturalmente ogni luogo comune ha un fondo di verità, e non starò a negare che esistono dipendenti pubblici fannulloni e raccomandati, e concorsi truccati. Ma chi ha detto che ciò sia la regola?

Ad un intellettuale domando che scriva qualcosa di informato e di coraggiosamente controcorrente. Ora, lâilluminata borghesia settentrionale delle professioni e dellâimpresa che è tradizionalmente il pubblico dâelezione del Corriere della Sera, non ha certamente bisogno di sentirsi dire che il pubblico impiego è il refugium peccatorum di tutti gli incapaci del paese, e lo Stato il peso morto dellâeconomia. Lo pensa già, e i suoi autorevoli scritti servono solo a confermarla nel pregiudizio. Quanto allâessere informato, voglio sperare che unâaffermazione apodittica come âSono davvero pochissimi i concorsi nei quali non vi sia un vincitore designato ben conoscibile già prima del bandoâ sia suffragata da qualche serio e inattaccabile studio statistico. Altrimenti si tratterebbe solo di unâimpressione personale, cioè, ancora una volta, di un pregiudizio.

Che i concorsi siano truccati e blindati è cosa risaputa nellâuniversità (e immagino che il suo sia stato una felice eccezione), ma dove sta scritto che sia sempre così anche in altri ambiti?

Come altri, che le hanno scritto prima di me, anchâio ho affrontato e superato il Secondo Corso Concorso di Formazione Dirigenziale della Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione, che consentì a un centinaio di giovani di diventare dirigenti dello Stato prima dei quarantâanni. Ricordo distintamente che accanto a me alle selezioni câera la figlia di un potente sottosegretario, che fu bocciata.

Quando si è voluto fare concorsi seri, lo si è fatto, e con ottimi risultati. Quando si è voluto controllare i risultati, lo si è fatto, e il mio sindacato si batte per un trasparente sistema di valutazione.
Del resto, un coerente sistema di valutazione ex post dei risultati ha senso solo se accompagnato a un sistema di selezione per merito.

Quello che sta accadendo, piuttosto, è che una classe politica che si è assicurata la possibilità di riprodursi per cooptazione, sta tentando di fare la stessa cosa anche con lâAmministrazione Pubblica. Già oggi, proprio come vorrebbe lei, Direttori Generali dei ministeri e una significativa aliquota di dirigenti di seconda fascia vengono scelti intuitu personae, e non appare che il sistema stia dando grandi risultati, né che abbia particolarmente premiato il merito, o che qualcuno abbia risposto, politicamente e contabilmente, per le scelte effettuate,quando si sono rivelate errate.

I primi a non volere i concorsi e la valutazione sono i politici, che così possono assumere non per merito ma per altre vie: concorsi riservati, scorrimento delle graduatorie, nomine dirette, contratti di consulenza, stabilizzazioni dei precari, leggine, e così via. Gli incarichi provvisori, poi, diventano definitivi, quando una manina misteriosa infila qualche emendamento in finanziaria.

Contro queste pratiche mi batto e continuerò a battermi. Ma sarebbe bello che lâopinione pubblica, e chi per essa scrive, non ci mettesse tutti nello stesso mucchio, capaci ed incapaci, onesti e furbi, lavoratori e scansafatiche, il bambino e lâacqua sporca.

Dopo cinque anni di esperienza professionale posso affermare con tranquillo orgoglio che il pezzettino di Stato che è affidato alle mie cure funziona, tratta correttamente i cittadini, impiega bene le (sempre più scarse) risorse assegnate. Lo Stato funziona male, è innegabile: ma mettendo sempre lâaccento sul âmaleâ, ci si dimentica che, se funziona ancora, qualcuno che lo fa funzionare, malgrado tutto, câè.
E, mi creda, è la cosa più terribile che si possa fare ad un uomo, togliergli lâorgoglio della sua funzione e del suo lavoro.

Se e quando vorrà scrivere della Pubblica Amministrazione con maggior cognizione di causa, professore, sarò lieto di mettermi a sua disposizione. Scoprirà che, lungi dallâessere il decrepito monolite uniformemente grigio che lei immagina, ci sono tanti fermenti vitali che vale la pena di valorizzare.

Cordialmente,
Dario Quintavalle

http://www.quintavalle.it/blog/index.htm

Da: Klamm25/05/2007 18:31:15
Davvero interessante la risposta data ad Ichino da questo dirigente. Molto ironica, anche. Grazie di averla pubblicata.

E' un punto di vista piuttosto fuori del comune, e tanto più interessante perché viene da 'dentro' la Pubblica Amministrazione.
I dirigenti dovrebbero essere tutti così: professionali ed indipendenti.

Ichino è un pensatore interessante, ma parla secondo me per luoghi comuni e per partito preso. Inoltre, è un professore universitario, e non mi pare che loro vengano selezionati in modo più trasparente...

Da: n.haghen26/05/2007 08:42:28
Sono perfettamente in sintonia con la risposta data dal dirigente. Il modello statunitense, che Ichino vorrebbe importare, creerebbe nel contesto italiano disastri inenarrabili.

E' la realtà dei fatti a dimostrare che, in assenza di qualsivoglia selezione, le assunzioni vengono effettuate non per merito ma unicamente sulla base di criteri politici e clientelari. Il concorso, pur con le sue innegabili pecche, permane tuttora il metodo "meno peggiore" di reclutamento nella pubblica amministrazione.

La mia esperienza personale, nonché quella di molte persone che ho conosciuto, dimostra che, in ambito concorsuale, la preparazione può surrogare ampiamente la mancanza di raccomandazioni.


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