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Elenco in ordine alfabetico delle domande di Comprensione del testo

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Nel parco giochi, lo scivolo sta tra l'altalena e la fontana. L'altalena si trova tra la fontana ed il dondolo. Conseguentemente....   Lo scivolo è più vicino all'altalena che al dondolo.
Nel rivolgerci al nostro interlocutore, se da un lato è utile ascoltare chi ci parla, anche se ci annoia, dall'altro è ancora meglio evitare di parlare troppo di noi stessi, di quanto siamo bravi o di quanto siamo sfortunati, a meno che non ci venga richiesto. "L'estremo piacere che proviamo nel parlare di noi stessi deve farci temere di non darne affatto a chi ci ascolta" diceva La Rochefoucauld. Se ci vantiamo dei nostri successi gli altri non ci ammireranno, non ci considereranno degli eroi; anzi, ci prenderanno in antipatia. Cosa fare, allora, se devi parlare di te stesso? Be', tanto per cominciare, parla in modo piano, normale, senza indulgere in toni enfatici. Devono essere i tuoi risultati a farti fare bella figura, non il modo con cui li esponi.
Un consiglio, per esempio, è quello di ricorrere alla tecnica dell'"anch'io"; tutti noi, infatti, proviamo simpatia per chi ci somiglia. Un proverbio inglese recita: "Birds of a feather flock together" (Gente dello stesso stampo sta insieme/Dimmi con chi vai, ti dirò chi sei) e anche all'epoca dei Romani Seneca asseriva: "L'amicizia tra due persone è tanto più forte quanto più sono le cose che hanno in comune".
L'autore ritiene che nel dialogo con un interlocutore:
   sia utile non parlare troppo di se stessi, a meno che non sia espressamente richiesto
Nel rivolgerci al nostro interlocutore, se da un lato è utile ascoltare chi ci parla, anche se ci annoia, dall'altro è ancora meglio evitare di parlare troppo di noi stessi, di quanto siamo bravi o di quanto siamo sfortunati, a meno che non ci venga richiesto. "L'estremo piacere che proviamo nel parlare di noi stessi deve farci temere di non darne affatto a chi ci ascolta" diceva La Rochefoucauld. Se ci vantiamo dei nostri successi gli altri non ci ammireranno, non ci considereranno degli eroi; anzi, ci prenderanno in antipatia. Cosa fare, allora, se devi parlare di te stesso? Be', tanto per cominciare, parla in modo piano, normale, senza indulgere in toni enfatici. Devono essere i tuoi risultati a farti fare bella figura, non il modo con cui li esponi.
Un consiglio, per esempio, è quello di ricorrere alla tecnica dell'"anch'io"; tutti noi, infatti, proviamo simpatia per chi ci somiglia. Un proverbio inglese recita: "Birds of a feather flock together" (Gente dello stesso stampo sta insieme/Dimmi con chi vai, ti dirò chi sei) e anche all'epoca dei Romani Seneca asseriva: "L'amicizia tra due persone è tanto più forte quanto più sono le cose che hanno in comune".
E' corretto affermare che il brano esorta all'amicizia?
   No, il brano si limita a fornire consigli su come instaurare un dialogo piacevole con l'interlocutore
Nel rivolgerci al nostro interlocutore, se da un lato è utile ascoltare chi ci parla, anche se ci annoia, dall'altro è ancora meglio evitare di parlare troppo di noi stessi, di quanto siamo bravi o di quanto siamo sfortunati, a meno che non ci venga richiesto. "L'estremo piacere che proviamo nel parlare di noi stessi deve farci temere di non darne affatto a chi ci ascolta" diceva La Rochefoucauld. Se ci vantiamo dei nostri successi gli altri non ci ammireranno, non ci considereranno degli eroi; anzi, ci prenderanno in antipatia. Cosa fare, allora, se devi parlare di te stesso? Be', tanto per cominciare, parla in modo piano, normale, senza indulgere in toni enfatici. Devono essere i tuoi risultati a farti fare bella figura, non il modo con cui li esponi.
Un consiglio, per esempio, è quello di ricorrere alla tecnica dell'"anch'io"; tutti noi, infatti, proviamo simpatia per chi ci somiglia. Un proverbio inglese recita: "Birds of a feather flock together" (Gente dello stesso stampo sta insieme/Dimmi con chi vai, ti dirò chi sei) e anche all'epoca dei Romani Seneca asseriva: "L'amicizia tra due persone è tanto più forte quanto più sono le cose che hanno in comune".
Secondo l'autore del brano, è preferibile parlare di se stessi:
   sottolineando le cose che si hanno in comune con l'interlocutore
Nel rivolgerci al nostro interlocutore, se da un lato è utile ascoltare chi ci parla, anche se ci annoia, dall'altro è ancora meglio evitare di parlare troppo di noi stessi, di quanto siamo bravi o di quanto siamo sfortunati, a meno che non ci venga richiesto. "L'estremo piacere che proviamo nel parlare di noi stessi deve farci temere di non darne affatto a chi ci ascolta" diceva La Rochefoucauld. Se ci vantiamo dei nostri successi gli altri non ci ammireranno, non ci considereranno degli eroi; anzi, ci prenderanno in antipatia. Cosa fare, allora, se devi parlare di te stesso? Be', tanto per cominciare, parla in modo piano, normale, senza indulgere in toni enfatici. Devono essere i tuoi risultati a farti fare bella figura, non il modo con cui li esponi.
Un consiglio, per esempio, è quello di ricorrere alla tecnica dell'"anch'io"; tutti noi, infatti, proviamo simpatia per chi ci somiglia. Un proverbio inglese recita: "Birds of a feather flock together" (Gente dello stesso stampo sta insieme/Dimmi con chi vai, ti dirò chi sei) e anche all'epoca dei Romani Seneca asseriva: "L'amicizia tra due persone è tanto più forte quanto più sono le cose che hanno in comune".
Qual è l'intento dell'autore?
   Indicare il modo migliore per parlare di se stessi
Nella camera da letto di Alessandra, il letto sta tra l'armadio e la poltrona. L'armadio si trova tra la poltrona e la specchiera. Conseguentemente....   Il letto è più vicino all'armadio che alla specchiera.
Nella frase "viste le recenti infrazioni che sono state commesse, agli alunni è stata imposta la stretta osservanza del regolamento" il termine "imposta"....   E' sinonimo dei verbi "intimata, prescritta, ordinata".
Nell'armadio di Francesca, le camicie si trovano tra le gonne e i pantaloni. Le gonne si trovano tra i pantaloni e le giacche. Conseguentemente....   Le camicie sono più vicine alle gonne che alle giacche.
Nell'ufficio di Ebe, la scrivania sta tra la libreria e la fotocopiatrice. La libreria si trova tra la fotocopiatrice e il telefono. Conseguentemente....   La scrivania è più vicina alla libreria che al telefono.
Noi rifiutiamo ogni legislazione, autorità e influenza privilegiata, ufficiale e legale anche se uscita dal ..... universale, convinti che essa non potrà non andare a vantaggio di una minoranza dominante e sfruttatrice, contro gli interessi dell'immensa ..... asservita. Ecco in che senso siamo veramente ..... (Bakunin, Dio e lo stato). Quale dei gruppi di termini proposti in sequenza integra, nell'ordine, le parole omesse?   Suffragio/maggioranza/anarchici.
Non di maggioranza o minoranza si parlava nel secolo della Riforma, ma di verità e di errore. Il criterio della verità non dipendeva dalla quantità dei seguaci. Persino la Chiesa di Roma dette risalto al criterio quantitativo della cattolicità solo verso la fine del XVI secolo.   Nel secolo della Riforma non ci si appellava a un criterio quantitativo per sostenere la superiorità di una confessione religiosa su un'altra, ma a quello della verità.
Non posso affermare di non aver apprezzato quella lezione di economia. Pertanto....   Ho apprezzato quella lezione di economia.
Non posso affermare di non aver apprezzato quell'idea. Pertanto....   Ho apprezzato quell'idea.
Non posso affermare di non aver copiato. Pertanto....   Ho copiato.
Non posso affermare di non aver delle regole. Pertanto....   Ho delle regole.
Non posso affermare di non aver fumato. Pertanto....   Ho fumato.
Non posso affermare di non aver giocato a dadi. Pertanto....   Ho giocato a dadi.
Non posso affermare di non aver letto quel proverbio. Pertanto....   Ho letto quel proverbio.
Non posso affermare di non aver perso. Pertanto....   Ho perso.
Non posso affermare di non aver protestato. Pertanto....   Ho protestato.
Non posso affermare di non aver rimproverato Marcella. Pertanto....   Ho rimproverato Marcella.
Non posso affermare di non aver sentito il terremoto. Pertanto....   Ho sentito il terremoto.
Non posso affermare di non aver sentito quella canzone. Pertanto....   Ho sentito quella canzone.
Non posso affermare di non aver sentito quella litigata. Pertanto....   Ho sentito quella litigata.
Non posso affermare di non aver studiato. Pertanto....   Ho studiato.
Non posso affermare di non aver vinto. Pertanto....   Ho vinto.
Non posso affermare di non aver visto cadere quell'aereo. Pertanto....   Ho visto cadere quell'aereo.
Non posso affermare di non aver visto il Papa. Pertanto....   Ho visto il Papa.
Non posso affermare di non aver visto il professore di latino. Pertanto....   Ho visto il professore di latino.
Non posso affermare di non aver visto Luca. Pertanto....   Ho visto Luca.
Non posso affermare di non aver visto quel film. Pertanto....   Ho visto quel film.
Non posso affermare di non aver visto quell'incidente. Pertanto....   Ho visto quell'incidente.
Non posso affermare di non avere una bella collana. Pertanto....   Ho una bella collana.
Non posso affermare di non possedere una collezione di dischi. Pertanto....   Possiedo una collezione di dischi.
Nozione matematica di primaria importanza, i numeri furono introdotti, più o meno consapevolmente, fin dall'antichità al fine di poter operare su quantità di elementi costituenti insiemi o su quantità esprimenti misure di entità materiali. La prima numerazione scritta risale al 3500 a.C. presso i Sumeri, in Mesopotamia. La numerazione posizionale attuale, con nove cifre e lo zero, è stata elaborata in India intorno al V secolo d.C., ma il decimale non era sconosciuto agli Egiziani, ai Babilonesi, ai Cinesi e persino ai Maya. Tuttavia la prima esposizione sistematica è del matematico indiano Brahmagupta nel VII secolo d.C. Furono poi gli Arabi - con il matematico Muhammad ibn Al-Khwarizimi (780-850) - durante la loro dominazione a utilizzarli (come concetto ma non come scrittura) e solo molto più tardi, con la possibilità di fare risultati di aritmetica pratica, fu Leonardo Fibonacci (1170-1230) a diffonderli nell'Europa medioevale, con il suo trattato "Liber abaci". Essendo notoriamente "usati" dagli arabi, impropriamente si chiamarono "numeri arabi", invece la scrittura vera e propria era quella indiana.
L'arabo Muhammad ibn Al-Khwarizimi intorno all'810 scrisse anche un libro di matematica coniando un termine che in italiano divenne "algebra".
Secondo l'autore del brano, la nozione di "numero":
   risale all'antichità
Nozione matematica di primaria importanza, i numeri furono introdotti, più o meno consapevolmente, fin dall'antichità al fine di poter operare su quantità di elementi costituenti insiemi o su quantità esprimenti misure di entità materiali. La prima numerazione scritta risale al 3500 a.C. presso i Sumeri, in Mesopotamia. La numerazione posizionale attuale, con nove cifre e lo zero, è stata elaborata in India intorno al V secolo d.C., ma il decimale non era sconosciuto agli Egiziani, ai Babilonesi, ai Cinesi e persino ai Maya. Tuttavia la prima esposizione sistematica è del matematico indiano Brahmagupta nel VII secolo d.C. Furono poi gli Arabi - con il matematico Muhammad ibn Al-Khwarizimi (780-850) - durante la loro dominazione a utilizzarli (come concetto ma non come scrittura) e solo molto più tardi, con la possibilità di fare risultati di aritmetica pratica, fu Leonardo Fibonacci (1170-1230) a diffonderli nell'Europa medioevale, con il suo trattato "Liber abaci". Essendo notoriamente "usati" dagli arabi, impropriamente si chiamarono "numeri arabi", invece la scrittura vera e propria era quella indiana.
L'arabo Muhammad ibn Al-Khwarizimi intorno all'810 scrisse anche un libro di matematica coniando un termine che in italiano divenne "algebra".
Il termine "algebra":
   è di origine araba
Nozione matematica di primaria importanza, i numeri furono introdotti, più o meno consapevolmente, fin dall'antichità al fine di poter operare su quantità di elementi costituenti insiemi o su quantità esprimenti misure di entità materiali. La prima numerazione scritta risale al 3500 a.C. presso i Sumeri, in Mesopotamia. La numerazione posizionale attuale, con nove cifre e lo zero, è stata elaborata in India intorno al V secolo d.C., ma il decimale non era sconosciuto agli Egiziani, ai Babilonesi, ai Cinesi e persino ai Maya. Tuttavia la prima esposizione sistematica è del matematico indiano Brahmagupta nel VII secolo d.C. Furono poi gli Arabi - con il matematico Muhammad ibn Al-Khwarizimi (780-850) - durante la loro dominazione a utilizzarli (come concetto ma non come scrittura) e solo molto più tardi, con la possibilità di fare risultati di aritmetica pratica, fu Leonardo Fibonacci (1170-1230) a diffonderli nell'Europa medioevale, con il suo trattato "Liber abaci". Essendo notoriamente "usati" dagli arabi, impropriamente si chiamarono "numeri arabi", invece la scrittura vera e propria era quella indiana.
L'arabo Muhammad ibn Al-Khwarizimi intorno all'810 scrisse anche un libro di matematica coniando un termine che in italiano divenne "algebra".
La numerazione con nove cifre e lo zero:
   si dice "posizionale"